rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Nazionalismi&co

Nazionalismi&co

A cura di Andrea Carteny

Il risveglio delle piccole nazioni nel 2018, a cento anni dalla Grande guerra

Curioso come il 2018 si presenti fin dai primi giorni con tanti spunti di approfondimento e interesse per i movimenti di autodeterminazione nazionale. La Catalogna, ormai, domina un panorama che si articola su piani e sensibilità differenti, tutte accomunate dalla medesima esigenza: l’affermazione delle identità territoriali e storiche. A Barcellona in queste ora si avvia una nuova fase del processo di desconnecciò avviata dal referendum dell’1 ottobre 2017, quando in una consultazione regionale boicottata – anche con l’impiego delle forze dell’ordine – dal governo centrale una maggioranza schiacciante (90%) di una minoranza di aventi diritto (42% di partecipanti al voto) ha acconsentito alla costituzione di uno stato indipendente e repubblicano in Catalogna.

La successiva dichiarazione di indipendenza ha aperto uno scenario del tutto inedito in Europa occidentale: l’autonomia regionale è stata sospesa dal governo centrale, il presidente regionale con alcuni esponenti indipendentisti si sono rifugiati all’estero per evitare l’arresto, altri leader sovranisti sono in carcere preventivo per sovversione. Il 21 dicembre si sono dunque tenute nuove elezioni, come stabilito dal governo: ma le speranze di dare una maggioranza alternativa al blocco secessionista sono rimaste deluse. I risultati infatti hanno dato di nuovo una ristretta maggioranza indipendentista, mentre nel fronte unionista il Partito popolare del capo del governo spagnolo Mariano Rajoy si è praticamente “sciolto” come neve al sole di fronte alla capacità di mobilitazione della giovane e dinamica formazione Ciudadanos. Il 17 gennaio, alla prima riunione del tavolo di presidenza del parlamento catalano, come prevedibile un esponente sovranista, il giovane leader della sinistra repubblicana Roger Torrent, è stato eletto presidente e ora gestirà l’investitura a presidente della Generalitat dell’unico candidato CarlesPuigdemont, in esilio in Belgio e in queste ore in Danimarca per un incontro pubblico. Rischia l’arresto, comunque rischia che la candidatura delegata – non in praesentia al Parlamentcatalano – possa essere di nuovo impugnata dal tribunale supremo…

Sicuramente una situazione non facile, che denota però i limiti di una situazione in cui continuano a non vedersi spazi di trattativa. In queste settimane anche in Corsica è emersa una situazione del tutto nuova per questa regione francese: e oggi i leader nazionalisti Gilles Simeoni e Jean-GuyTalamoni dovrebbero essere ricevuti dal primo ministro Eduard Philippe. Infatti alle ultime elezioni del 3 e del 10 dicembre scorso la vittoria del fronte nazionalista, che con la coalizione Pe a Corsica per la prima volta vedeva uniti gli autononomisti di Femu a Corsica e gli indipendentisti di Corsica Libera, apriva una nuova stagione nelle rivendicazioni di autodeterminazione còrsa. Simeoni, leader autonomista, è stato eletto presidente del consiglio esecutivo, Talamoni, indipendentista, presidente dell’Assemblea dell’isola. Inoltre il 1 gennaio si è costituita la nuova Collettività territoriale unica corsa, che dà un nuovo contesto regionale alla Corsica, tradizionalmente amministrata da due dipartimenti: questo nuovo livello istituzionale ricomprende la vecchia regione e i dipartimenti ed presenta una chiara maggioranza nazionalista (41 su 62 seggi). Le rivendicazioni basilari del fronte nazionalista – coufficialità della lingua còrsa, amnistia dei prigionieri politici, status di residente per limitare le speculazioni immobiliari – erano in un primo tempo non prese in considerazione da Parigi: ora, invece, si tenta di dialogare, al punto che il presidente Macron ha annunciato la sua visita in Corsica per il 4 febbraio.

Se in occidente si dialoga, nella parte orientale dell’Unione Europea i termini in cui si esprime il confronto sulle identità nazionali è ancora sconfortante. In questi giorni dalla Romania i media internazionali riportano le proteste di migliaia di cittadini per l’investitura di Viorica Dăncilă come nuovo capo di governo a guida social-democratica. I rischi per il “colpo di spugna” sui reati di corruzione hanno infatti mobilitato decine di migliaia di cittadini, nel paese e all’estero. Pochi però ricostruiscono le vicende che hanno portato alle dimissioni del precedente premier Mihai Tudose, fortemente indebolito dalle polemiche internazionali scaturite dalle sue dichiarazioni sull’autonomia degli ungheresi in Romania. Il 10 gennaio, infatti, a commento della rivendicazione di autonomia territoriale per i secleri (di lingua ungherese, blocco etnico maggioritario in tre distretti della Transilvania orientale), proposto da tre organizzazioni politiche ungheresi di Romania (tra cui l’Unione democratica degli ungheresi di Romania, di supporto parlamentare al governo a guida social-democratica), Tudose ha dichiarato che – essendo contro la legge e la costituzione romena – non esiste possibilità diautonomia per la terra dei secleri e che coloro che dovessero appendere le bandiere autonomiste agli edifici delle istituzioni locali, allora a fianco delle bandiere dovrebbero essere “appesi” anche loro… Ha detto proprio così!

Si parla di

Il risveglio delle piccole nazioni nel 2018, a cento anni dalla Grande guerra

Today è in caricamento