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Venerdì, 29 Marzo 2024
CRONACA / Pesaro e Urbino

Abbandona sua figlia ma le sorelle la "cacciano": ora la suora si "riprende" la bimba

Una religiosa congolese aveva abbandonato sua figlia - nata da uno stupro di un sacerdote - per continuare ad essere suora. Dopo il no della congregazione, la donna ha cominciato una battaglia legale per riavere sua figlia

PESARO - L'aveva abbandonata per potere continuare a fare la suora con le "Petites Soeurs de Nazareth". Poi, quando le consorelle l'hanno "rifiutata", ha cominciato una battaglia legale per avere di nuovo sua figlia. Protagonista della storia è una religiosa congolese che, dopo essere stata violentata da un sacerdote, aveva dato alla luce una bimba nel 2011 a Pesaro. 

In un primo momento la suora non aveva voluto riconoscere la bimba e l'aveva data in affidamento a una famiglia. Il rifiuto della congregazione di riaccoglierla, però, le aveva fatto cambiare idea: e la donna si era rivolta alla Cassazione per potere avere sua figlia. Oggi la Suprema Corte le ha dato ragione e ha revocato la procedura di adozione.

Il tutto in una vicenda giudiziaria e umana molto complicata. In un primo momento, quando la donna aveva manifestato la volontà di riavere la figlia frutto dello stupro, il tribunale dei Minori le aveva dato ragione e aveva dichiarato la bambina non adottabile. "La donna era vissuta in uno stato di disorientamento e d’incapacità di intendere e di volere - avevano sottolineato i giudici - dal quale era uscita con la consapevolezza del suo nuovo status, che essa desiderava ed era in grado, con i dovuti accorgimenti e supporti, di vivere". 

Una tesi, questa, contrastata però dalla Corte d’appello per i minorenni, che aveva criticato il comportamento della donna, sottolineando come inizialmente avesse scelto "in coscienza e con libera volontà" di rimanere suora all’interno della congregazione e solo dopo il rifiuto delle consorelle aveva deciso di riconoscere la figlia, affidata nel frattempo ad una famiglia. 

Secondo la Corte, la decisione non era stata motivata da un "ripensamento profondo a un travaglio motivato da un interesse per la bambina" ma era solo una conseguenza del fatto di "essere stata estromessa dalla congregazione". 

Una motivazione contro la quale la donna aveva fatto ricorso proprio alla Suprema Corte, che alla fine le ha dato ragione. La Cassazione ha infatti riconosciuto che la donna aveva espresso la volontà di abbandonare la figlia subito dopo il parto, in condizioni "fisiche e psichiche particolarmente compromesse". Mentre successivamente - 73 giorni dopo - era passata da uno stato di "madre spirituale" ad uno di "donna e madre". Stato che oggi potrà vivere senza alcun problema. 

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