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Mercoledì, 17 Aprile 2024
Cronaca Brindisi

Donne sfruttate nei campi, quattro arresti a Brindisi: "Sono come mule e capre"

Quattro arresti per sfruttamento a Brindisi, si stringe la morsa sul caporalato: è da incubo lo scenario emerso dalle ultime indagini, come racconta nei dettagli il quotidiano locale BrindisiReport

Quattro arresti per sfruttamento a Brindisi, si stringe la morsa sul caporalato: è da incubo lo scenario emerso dalle ultime indagini, come racconta nei dettagli il quotidiano locale BrindisiReport. Le quattro persone finite in carcere sono indagate per concorso in intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravati. 

L’indagine inizia il 15 ottobre 2015 con la denuncia di una bracciante, che descrivendo il proprio stato di necessità che l’aveva spinta a sottostare alle vessazioni dei caporali, denunciò direttamente in procura due coniugi residenti a Villa Castelli, che erano gli organizzatori del reclutamento illegale di mano d’opera per conto di un’azienda di Turi, nel Barese.

Il sostituto attualmente reggente la procura di Brindisi, Raffaele Casto, rileva come l’attuale normativa in materia, prevedendo l’uso di intercettazioni telefoniche e ambientali nelle attività investigative sul caporalato, ha segnato una autentica svolta nella repressione del fenomeno. A ciò va aggiunto la previsione di pene severe. Nel caso in questione, ad esempio, si parte da 7 anni e 6 mesi sino a 12 anni di reclusione e a 45mila euro di multa. Ma ci sono anche lacune, come quella che esenta il datore di lavoro che ha utilizzato illecitamente prestazioni a formalizzare o a proseguire tale rapporto secondo quanto previsto dalla legge.

La bracciante autrice della denuncia, A.B., aveva anche affrontato i coniugi che gestivano il traffico di mano d’opera con rimostranze e richieste riguardanti la magra retribuzione dispensata dalla coppia, ma era stata percossa riportando lesioni personali. Alle dichiarazioni di A.B., si erano poi aggiunte quelle di una seconda bracciante, a sua volta costretta, come le altre colleghe, ad accettare le condizioni di lavoro capestro spinta da un documentato stato di bisogno e necessità, la circostanza che rende punibile in base alla legge i caporali.

Lo dimostrano alcuni passaggi delle intercettazioni telefoniche: “Non so, ditemi voi. Devo scendere con l’agenzia o devo scendere con voi”, dice una bracciante ai caporali, parlando dell’ingaggio e del trasporto sino all’azienda nel Barese. E il caporale risponde. “Con l’agenzia lavori un mese, con noi lavori sei mesi, otto mesi. Quindi dipende da cosa vuoi fare! Se vuoi lavorare un mese…altrimenti ti conviene venire con noi! Secondo me ti conviene, perché con noi alla fine lavori, se sa comunque il lavoro, no? Con loro lavori un bum, sino a fine mese, fino a giugno”. La bracciante si rassegna: “Ok, allora vado all’agenzia e tolgo il contratto”. Il caporale: “Esatto, sì”.

Ma non è tutto: emerge dall’attività dei carabinieri una concezione abominevole della donna e dei suoi diritti espressa dal “caporale” Ecco la filosofia del soggetto, nella sua crudezza: “Alle femmine pizza e mazzate ci vogliono, altrimenti non imparano”, e anche “femmine, mule e capre, tutte con la stessa testa”.  E infatti il pm ha accertato che la retribuzione percepita dalle 15 braccianti arruolate (12 italiane, due rumene e una ecuadoregna) dagli indagati era difforme rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto; la normativa su orario di lavoro e risposi settimanali era calpestata; gli straordinari e le festività non venivano pagate.

E poi l’umiliazione di poter utilizzare i servizi igienici solo col permesso della coppia. L’obbligo di dover corrispondere ai caporali 8 euro al giorno, ancor prima di ricevere la paga, con la minaccia di non riceverla. A fronte di un compenso dovuto pari a 55 euro giornaliere, avrebbero percepito 38 euro al giorno. Inoltre avrebbero lavorato per più di 8 ore al giorno, a fronte delle 6 ore e mezzo previste dal contratto.

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