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Giovedì, 25 Aprile 2024
Mafia / Caltanissetta

Quattro nuovi arresti per la strage di via d'Amelio

I pm: "Borsellino sapeva della trattativa tra mafia e stato". Il procuratore antimafia Grasso: "la strategia della tensione non ha mai lasciato l'Italia"

Torna sulle prime pagine la strage di via d'Amelio dove il 19 luglio 1992 perse la vita il giudice Paolo Borsellino con cinque agenti di scorta.

Quattro nuovi arresti sono stati notificati dalla Direzione investigativa antimafia, tra i quali il boss Salvino Madonia, già in carcere, con l'accusa di aver preso parte alla riunione in cui si decise la morte del giudice.

Con lui, è finito in manette Calogero Pulci, considerato falso pentito, con l'accusa di "calunnia aggravata". La Procura di Caltanissetta ha quindi dato seguito alle richieste della Dda rigettando solo quella per una quinta persona indagata per favoreggiamento aggravato.

Andando a leggere la ricostruzione dell'accaduto, i magistrati di Caltanissetta che hanno così raccolto riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, ritenuto attendibile, che ha ammesso di essere stato il responsabile del furto della Fiat 127 usata come autobomba in via d'Amelio.

Secondo il Gip di Caltanissetta, Alessandra Bonaventura Giunta, che ha firmato l'ordinanza cautelare, "deve ritenersi un dato acquisito quello secondo cui a partire dai primi giorni del mese di giugno del 1992 fu avviata la cosiddetta trattativa tra appartenenti alle istituzioni e l'organizzazione criminale Cosa nostra". 

Borsellino fu eliminato da Cosa nostra perché ritenuto da Totò Riina un "ostacolo" alla trattativa, arenatasi "su un binario morto" e che quindi andava "rivitalizzata" con il gesto eclatante della strage.

In questo contesto, riecheggiano le parole di oggi del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, in occasione della conferenza stampa sulle ordinanze di custodia cautelare, per il quale Borsellino "era stato messo a conoscenza dei contatti con Vito Ciancimino da parte delle istituzioni". Non solo. Per Grasso il caso Borsellino dimostra come "la strategia della tensione non ha mai abbandonato l'Italia. Spesso in momenti di particolare destabilizzazione e confusione del quadro politico post-Tangetopoli c'era il pericolo di una deriva che portasse a mutamenti politici magari non graditi".

Per questo, per il procuratore nazionale antimafia "non bisogna mai abbandonare il percorso verso la verità, anche se è passato tanto tempo e ci sono verità processuali definitive". 

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