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Giovedì, 28 Marzo 2024
Il caso

"Quel bimbo non è di nessuno": il piccolo Tommy tolto ai genitori

Una coppia di Brescia ha perso la prima causa approdata alla Suprema corte sul riconoscimento di un figlio nato in Ucraina da una "madre surrogata". Per i giudici quel bimbo non è di nessuno e va dato in adozione

ROMA - Lei, senza utero. Lui, affetto da oligospermia. Per coronare il sogno di avere un bimbo avevano richiesto tre volte l'adozione allo Stato italiano: richiesta sempre rifiutata. Così, forse sapendo di fare una cosa illegale, si erano affidati a una "madre surrogato" ucraina e avevano avuto finalmente il loro piccolo. Almeno fino a ieri quando la Cassazione ha deciso che quel bimbo - Tommaso, di tre anni - per le leggi italiane non è figlio di nessuno. E per questo va dato in adozione.

Una coppia di Brescia ha perso la prima causa approdata alla Suprema corte sul riconoscimento di un figlio nato in Ucraina da una madre surrogata che si era resa disponibile a soddisfare il desiderio di genitorialità di marito e moglie, che più di una volta avevano provato la strada per l'adozione. Per i supremi giudici, semplicemente, l'Italia non riconosce la pratica della "fecondazione extracorporea". Il risultato, più evidente, è uno: legalmente quel piccolo è figlio di nessuno e occorre trovargli una famiglia. 

Di diverso avviso invece era stata la Procura generale della Cassazione, rappresentata da Francesca Cerioni, che aveva chiesto la revoca dello stato di adottabilità e la restituzione del bambino a quelli che si erano spacciati per i suoi veri genitori e che al loro rientro dall'Ucraina erano stati scoperti e denunciati per frode anagrafica. Una frode alla quale i due coniugi cinquantenni erano stati spinti, forse, dalla disperazione. 

Dalle indagini era infatti subito emerso che né il marito né la moglie erano in grado di procreare. Alla donna era stato asportato l'utero, mentre l'uomo era affetto da oligospermia. Nonostante ciò il loro desiderio di essere genitori non si era mai spento, e messa di fronte alle proprie responsabilità la coppia aveva subito ammesso di aver avuto quel bambino in Ucraina da una madre 'in affitto', che una volta partorito non aveva voluto che il suo nome figurasse sul certificato di nascita del bebè. Marito e moglie avevano chiesto alla Cassazione di lasciargli il bambino, sostenendo che i tempi sono maturi perché l'Italia provveda a "individuare i valori condivisi dalla comunità internazionale armonizzandoli con il sistema interno".

Ma i giudici, almeno per il momento, hanno sbarrato la strada alla "maternità surrogato". Con la sentenza numero 24.001, pur riconoscendo che il Consiglio d'Europa su questo tema lascia i Paesi membri abbastanza liberi di darsi regole, i giudici hanno ricordato e sottolineato che "l'ordinamento italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un'altra donna".

Questo divieto - prosegue il verdetto - non è stato "travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell'analogo divieto di fecondazione eterologa, pronunciato dalla Consulta con la recente sentenza 162 del 2014". Ed è posto "a presidio di beni giuridici fondamentali", quali "la dignità umana, costituzionalmente tutelata, della gestante e l'istituto dell'adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l'ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato". Per questo, hanno deciso i giudici, il piccolo ora ha bisogno di una famiglia. Legalmente riconosciuta. 

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