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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Processo Yara, il giorno del giudizio per Bossetti: rischia l'ergastolo

Sono passati quasi sei anni da quel 26 novembre del 2010, quando Yara scomparve, inghiottita nel buio a poche centinaia di metri da casa sua, mentre rientrava dalla palestra di Brembate di Sopra dove si allenava. Oggi la prima sentenza

Si chiude oggi la lunga maratona di 44 udienze del processo in corso alla Corte d'Assise di Bergamo per l'omicidio di Yara Gambirasio, la ragazzina di Brembate di Sopra trovata morta, a tre mesi dalla sua scomparsa, in un campo di Chignolo d'Isola, in provincia di Bergamo. Unico imputato, per il quale il pm Letizia Ruggeri ha chiesto l'ergastolo, è Massimo Bossetti, 45 anni, accusato di omicidio pluriaggravato e a cui appartengono - secondo l'accusa - alcune tracce di Dna ritrovate sugli indumenti della vittima.

Oggi Bossetti, che ha continuato a dichiararsi innocente, ha fatto davanti alla Corte la sua ultima autodifesa prima della camera di consiglio e del pronunciamento dei giurati, atteso in giornata. "Vi supplico, sono innocente. Se mi condannerete sarà il più grave errore del secolo", ha detto davanti ai giudici.

LA SCOMPARSA - Yara Gambirasio, tredicenne, scompare nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010. Alle 18.44 la ragazzina lascia la palestra del Centro sportivo del comune della bergamasca, dove seguiva un corso di ginnastica ritmica. I genitori l'aspettano a casa, a meno di un chilometro di distanza. Ma non vi arriverà mai. Pochi minuti dopo, alle 18.47, il suo telefono portatile risulta agganciato alla cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate. Poi il segnale scompare. I genitori di Yara denunciano la sera stessa la scomparsa della figlia. Forze dell'ordine e volontari battono dall'indomani la campagna circostante, per settimane, senza successo. Dieci giorni dopo la scomparsa viene fermato, il 5 dicembre, l'operaio marocchino Mohammed Fikri, a bordo di una nave diretta a Tangeri. L'uomo, in seguito scagionato, era stato individuato sulla base di un'intercettazione ambientale, la cui traduzione è risultata poi errata.

IL RITROVAMENTO DEL CORPO - Il corpo martoriato di Yara Gambirasio viene ritrovato il 26 febbraio 2011. Ad imbattersi casualmente sul cadavere della giovane, colpito da diverse coltellate, un appassionato di aeromodellismo che si era inoltrato in un campo incolto di Chignolo d'Isola, a circa dieci chilometri da Brembate di Sopra, per recuperare il suo modellino. L'autopsia stabilirà in seguito che sulla ragazzina non fu compiuta nessuna violenza sessuale ma che morì per le sevizie a cui fu sottoposta (diverse coltellate e alcuni colpi di spranga) e anche per il freddo. I funerali, a cui parteciparono migliaia di persone, si svolsero il 28 maggio.

Omicidio e misteri: il giallo di Yara Gambirasio

LE RICERCHE - Dal giorno del ritrovamento, gli inquirenti concentrano le loro ricerche attorno a Chignolo d'Isola e procedono con gli esami per identificare il Dna dell'assassino. Materiale genetico che verrà ritrovato sugli slip e sui leggins della vittima. Viene così battezzato il profilo di 'Ignoto 1', individuato come l'esecutore del delitto. Gli inquirenti sottopongono a test del Dna migliaia di persone, per dare un nome a questo 'Ignoto 1'. Il Dna è stato 'il faro' seguito dagli inquirenti per le indagini sull'omicidio di Yara Gambirasio ed è 'la prova regina' che, secondo la Procura, incastra Massimo Bossetti. Sugli indumenti di Yara, gli investigatori trovano una traccia di sangue non compatibile con quella della ragazzina. Fu indicata come 'Ignoto 1', ed associata al probabile assassino o a un suo complice. Ed è da questo momento che partono gli accertamenti, attraverso uno screening del Dna dei frequentatori della palestra, dei lavoratori della zona di Mapello e dei frequentatori di una discoteca non distante dal luogo dove era stato ritrovato il cadavere.

LE TRACCE DI DNA - Viene così trovato un legame genetico tra il Dna di un uomo, Damiano Guerinoni, e 'Ignoto 1'. E vengono quindi sottoposti a test del Dna tutti i suoi familiari. Gli esami portano all'identificazione di un Dna con una maggiore compatibilità genetica con Ignoto 1 appartenente a tre cugini di Guerinoni (tra di loro fratelli). Per completare il quadro e identificare 'Ignoto 1' occorre il Dna del padre dei tre fratelli, Giuseppe, morto nel 1999. La sua esumazione viene disposta dopo un primo test su saliva prelevata dal retro di una marca da bollo sulla patente dell'uomo e gli esami stabiliscono che al 99,99999987%, quindi con la pratica certezza, che 'Ignoto 1' è suo figlio, avuto però con una donna diversa dalla moglie. L'indagine si concentra quindi sulla ricerca della madre biologica di 'Ignoto 1'.

Questo nuovo complesso filone, con centinaia di test sulle donne che poteva aver frequentato Giuseppe Guerinoni durante gli anni del suo lavoro di autista d'autobus tra i paesi della provincia di Bergamo, porta all'individuazione, da parte dei Ris dei Carabinieri, di una donna di nome Ester Arzuffi avente un Dna compatibile con quello della madre di Ignoto 1. Ester, che era sposata con Giovanni Bossetti, scoprì di essere incinta di due gemelli, un maschio e una femmina. Secondo la ricostruzione degli investigatori, basata sulle evidenze del Dna, 'Ignoto 1' è quindi Massimo Giuseppe Bossetti.

L'ARRESTO DI MASSIMO BOSSETTI - Dopo un paio di giorni sotto sorveglianza e dopo aver raccolto il suo Dna con un pretesto, presso un posto di blocco 16 giugno 2014, Bossetti, muratore incensurato, viene arrestato nel cantiere dove sta lavorando.

IL PROCESSO - Chiuse le indagini il 28 febbraio 2015, per Bossetti viene chiesto il rinvio a giudizio. Il 3 luglio inizia il processo, a cui la presidente della Corte Antonella Bertoja consente l'accesso a pubblico e giornalisti ma senza telecamere, fotocamere e registratori. Le udienze si susseguono tra le polemiche tra le parti e le divisioni tra innocentisti e colpevolisti, con la Corte costretta a richiamare più volte, e in un paio di casi ad espellere dall'aula, alcuni presenti, tra cui due giornalisti, per i brusii di sottofondo in alcuni passaggi chiave del dibattimento. Bossetti, intervenuto raramente per dichiarazioni spontanee, è accusato anche di calunnia (pena richiesta di 5 anni e 4 mesi) nei confronti di un suo ex collega di lavoro, nei confronti del quale avrebbe cercato di indirizzare i sospetti. Il pm Letizia Ruggeri ha chiesto per l'imputato la condanna all'ergastolo e sei mesi di isolamento diurno, mentre le parti civili un risarcimento totale pari a tre milioni e 249 mila 230 euro. Gli avvocati della Difesa hanno invece chiesto l'assoluzione.

LA TESI DELL'ACCUSA - Secondo l'accusa, oltre alla 'prova regina' del Dna, Bossetti è colpevole del delitto perché incastrato anche dalla circostanza del passaggio del suo furgone - riconosciuto secondo la Procura dalle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza, davanti alla palestra di Yara proprio nei minuti precedenti la sparizione e per altri 'corollari'. Per esempio, le ricerche a sfondo sessuale di adolescenti, effettuate su Internet, la compatibilità di alcune fibre ritrovate sull'autocarro di Bossetti, il riconoscimento di Bossetti in un parcheggio con Yara fatta da una teste. Per l'accusa, Bossetti avrebbe agito 'con crudeltà', 'ha voluto provocare sofferenze' e 'arrecare particolare dolore'. Il pm ha affermato che Bossetti 'non ha fornito alternative valide che possano supportare una sua estraneità all'omicidio' e che è solito 'raccontare fandonie, bugie anche ben strutturate'. Non ci sono dubbi, ha detto, che si tratti di un 'omicidio doloso': Bossetti ha 'infierito sulla ragazza provocando le ferite non idonee a cagionare la morte' ma 'la volontarietà risulta dal compendio delle lesioni e dell'abbandono sul campo' dove 'la fine era certa'. La ricostruzione 'più probabile' dell'omicidio di Yara Gambirasio è che Massimo Bossetti 'l'abbia incontrata per caso, che l'abbia convinta in qualche modo a salire sul suo mezzo' e quel che è successo dopo 'è solo immaginazione'.

Ed è proprio attorno al Dna che si sono consumate, in dibattimento, le battaglie più dure tra la pubblica accusa e il collegio di difesa dell'imputato. La pm ha citato due sentenze della Cassazione secondo cui il Dna costituisce 'un elemento di prova e non di mero indizio' perché la possibilità che appartenga a due persone distinte è 'infinitesimale'. In particolare, nell'esame del Dna di Ignoto 1 effettuato con 23 marcatori, c'è soltanto una possibilità su 3.700 miliardi di miliardi di miliardi che possa appartenere ad due soggetti diversi, quindi c'è la pratica certezza che sia 'identificativo'. Dna, ha sottolineato, ritrovato 'su un indumento molto intimo e molto poco accessibile'. Altro punto cardine del ragionamento del p è stato il fatto che si sia arrivati a Massimo Bossetti dal Dna di una persona ignota 'di cui non sapevamo niente' dimostra che non si voleva trovare 'a tutti i costi' il colpevole dell'omicidio di Yara Gambirasio. 'La bontà di questo percorso scientifico', ha osservato il pm, è data dal fatto che si arriva a un match che porta a una persona nata e cresciuta in questa zona, che lavora nel campo dell'edilizia (come indica la polvere di calce trovata negli indumenti della vittima), nata a Clusone, residente a Brembate e che svolgeva lavori in quelle zone.

LA DIFESA - "Tecnicamente questo processo non ha dimostrato nulla e nel procedimento sono di più le anomalie dei marcatori del Dna . Non ha fugato i dubbi, anzi, li ha alimentati'. Per gli avvocati della difesa Paolo Camporini e Claudio Salvagni, inoltre, il fatto che non sia stato possibile risalire al fluido (sangue, liquido seminale o saliva) che ha generato la traccia del Dna di Ignoto 1, inficerebbe la validità del dato ottenuto. Soprattutto, i mancati riscontri sul Dna mitocondriale "lasciano forti dubbi e interrogativi non risolti". Tanto da arrivare a dire, nell'arringa finale, che "questo processo è fondato sul nulla". Per Salvagni le accuse emerse durante processo in corso alla Corte d'Appello di Bergamo sono basate 'su ricostruzioni che non hanno riscontro sulle carte, e il dibattito non è stato in grado di dare una ricostruzione attendibile'. 'Si tratta - ha aggiunto prima di entrare nei particolari - di un processo delle eccezioni e tutto ciò che non torna è stato definito un'anomalia. Ma per condannare bisogna avere delle certezze, non delle congetture'.

Riguardo allo spinoso tema del Dna, "come primo compito in questo caso ci siamo rivolti a un genetista e ad altri consulenti: tutti ci hanno detto che c'era qualcosa che non tornava. Abbiamo però assistito a un massacro nei confronti dei nostri collaboratori che nel migliore dei casi sono stati definiti inesperti". Sul Dna, considerato la 'prova regina' da parte dell'accusa, la difesa ha lamentato di 'non ha mai potuto interloquire' e 'sul lavoro fatto da altri non può esserci chiesto un atto di fede'. Un processo 'ricco di suggestioni, un processo mediatico', ha osservato Salvagni, ma del quale 'non abbiamo certezza di niente: non sappiamo come è morta Yara', né con quali armi sia stata colpita.

"Questo processo ha parlato di tutto", ha affermato l'avvocato difensore "ma non di cosa è davvero successo'". Salvagni si è addentrato, punto per punto, nei punti considerati deboli o contraddittori delle indagini, a partire dagli elementi raccolti attorno al ritrovamento del cadavere: la presenza di fili e fibre nelle ferite, secondo i legali di Bossetti, non spiegata dall'impianto accusatorio. Così come i presunti errori dei periti, tra cui la presenza rilevata di ossido di calcio nei polmoni; o l'ipotizzato "rimaneggiamento" del cadavere e della sua 'contaminazione' durante i rilevamenti. "Tutto ciò che non torna diventa un'anomalia, non viene giustificato", ha detto Salvagni, che ha aggiunto: "Ci sono cose che vengono spacciate come certezze e che invece vengono smentite. Ma noi pretendiamo certezze, qui c'è in ballo la vita di un uomo".
 

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