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Giovedì, 28 Marzo 2024
CASO ILVA

Ilva, il grande ricatto della famiglia Riva: 1400 lavoratori a casa

L'azienda giustifica la chiusura di sette impianti con i sequestri dello scorso ventidue maggio, ma la sensazione è che si voglia ricattare il governo. Pronta la risposta dell'esecutivo: dossier e nazionalizzazione

ROMA - Il sapore che resta in bocca, oltre quello dell'amarezza naturalmente, è quello del grande ricatto. Come se le sorti di mille e quattrocento lavoratori possano essere considerate merce di scambio per ingaggiare un braccio di ferro con il governo. Il buon senso, e "magari" anche qualche legge, consiglierebbero di no, ma tant'è. Per la famiglia Riva, storica regina dell'acciaieria italiana, rispondere colpo su colpo all'esecutivo sembra essere diventata la priorità assoluta. 

E così accade che l'azienda annunci, in una semplice nota, che a causa del sequestro preventivo legato all'inchiesta sull'Ilva per il disastro ambientale, sette stabilimenti cesseranno l'attività. Una botta non da poco se si considera che i lavoratori coinvolti sono più di mille e quattrocento. E, soprattutto, se a questi si aggiungono i mille e cinquecento addetti che operano in tredici società riconducibili ai Riva e che saranno messi "in libertà". 

Caso Ilva, sequestrati beni per otto miliardi alla famiglia Riva

Il sequestro a cui i proprietari di Ilva spa fanno riferimento è quello del 22 maggio scorso durante il quale la magistratura tarantina aveva bloccato beni per otto miliardi di euro, fra i quali impianti di produzione. Dal palazzo di giustizia jonico, però, avevano garantito che nonostante i sequestri tutte le attività avrebbero potuto continuare senza grandi traumi. Una speranza, questa, evidentemente disattesa. 

A chiudere i battenti, momentaneamente, saranno gli stabilimenti produttivi di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco). La società ha provato a tirarsi  fuori dalla logica dei "cattivi pensieri" e in una nota ha spiegato che "tali attività non rientrano nel perimetro gestionale dell'Ilva e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie che hanno interessato lo stabilimento Ilva di Taranto".

Chiudere l'Ilva costerebbe otto miliardi di euro alle casse dello Stato

Salvo, poi, mettere a segno un involontario autogol e spiegare: "La decisione si è resa purtroppo necessaria poiché il provvedimento di sequestro preventivo penale del Gip di Taranto, datato 22 maggio e 17 luglio 2013 e comunicato il 9 settembre, in base al quale vengono sottratti a Riva Acciaio i cespiti aziendali, tra cui gli stabilimenti produttivi, e vengono sequestrati i saldi attivi di conto corrente e si attua di conseguenza il blocco delle attività bancarie, impedendo il normale ciclo di pagamenti aziendali, fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività".

Quindi, provando a decifrare il complesso messaggio dei Riva, la questione Ilva non c'entra, ma è la causa della chiusura degli stabilimenti. Un pò strano. Ecco perché il dubbio che si tratti di un ricatto verso i ministri, Zanotato e Saccomanni in primis, resta forte e motivato. "Il governo non può stare a guardare - ha tuonato il segretario Pd Epifani, chiamando l'esecutivo ad intervenire -  è un fatto grave con effetti su centinaia di lavoratori". 

Ilva, nulla è cambiato: ancora morti e licenziamenti

E, a quanto pare, il governo è pronto a fare il suo. Da via Veneto oggi è previsto un incontro con i nuovi vertici Ilva durante il quale Zanonato "presenterà" due strade al presidente Bruno Ferrante. Qualche concessione, non in materia penale naturalmente, in cambio della marcia indietro sul licenziamento dei lavoratori. O, e questa è la strada più probabile, niente carota ma solo bastone: con la ripresa dei dossier sulle attività dei Riva "abbandonati" a giugno e nazionalizzazione di società e strutture. Tornare indietro, ormai, appare improbabile. In gioco, il futuro di mille e quattrocento lavoratori. 

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