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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Genova

"Noi infermieri al lavoro dopo il crollo di Genova: con l'azione compensiamo lo shock"

Attivi già da pochi minuti dopo la notizia del crollo del Ponte Morandi, gli infermieri hanno lavorato senza sosta prima per accogliere i feriti, poi per gestire parenti e sfollati: l'intervista

Martedì 14 agosto gli ospedali di Genova sono passati dalla relativa tranquillità all'emergenza nel giro di pochi minuti. Nel giro di pochi istanti, si è passati dallo stupore alla consapevolezza che era il momento di agire e le ore successive al crollo del Ponte Morandi hanno richiesto il massimo degli sforzi da parte di tutti, dai chirurghi agli psicologi, passando per gli infermieri. 

Come racconta Andrea Barsanti su GenovaToday, proprio gli infermieri, “braccio” degli ospedali cittadini, sono stati coloro che hanno preparato le strutture all’arrivo di feriti che alla fine, purtroppo, non sono stati numerosi quanto si sperava inizialmente, quando ancora si contava di poter tirare fuori dalle macerie quanti già superstiti possibile, nonostante il volo di un centinaio di metri. 

Carmelo Gagliano, presidente dell’Ordine degli Infermieri di Genova, ricorda ancora il momento in cui è stata diffusa la notizia del crollo del ponte, e la reazione immediata della macchia dei soccorsi.

Ponte Morandi, il commosso ringraziamento di una signora genovese ai vigili del fuoco

Quando avete scoperto cosa stava succedendo?

«Siamo stati attivati alle 11.39 di martedì 14 agosto dal 118 e dalla Protezione Civile, ed è scattato il piano legato alle maxi emergenze, con l’attivazione di tutta una serie di interventi, dalla preparazione del materiale e delle sale operatorie allo sgombero del pronto soccorso passando per il richiamo di tutto il personale in servizio. Vista la situazione, eravamo preparati a gestire feriti legati a catastrofi naturali, e dunque con ustioni, politrauma, annegamenti vista la pioggia. Abbiamo allestito in ospedale tutti i servizi previsti con tutte le specialità e competenze necessarie.

Qual è stata la reazione del personale in servizio al Villa Scassi, dove è arrivata la maggior parte dei feriti?

In casi di questo genere siamo tutti iperattivi, è un modo per compensare le emozioni e le paure. La spinta è quella a fare qualcosa subito, reazione che di fatto rende fondamentale mettere ordine e dirigere le operazioni. Tutti quanti, compresa la portata della notizia, abbiamo pensato “Mio Dio, facciamo qualcosa”, ma in questo modo si rischia di perdere di vista le cose importanti.

Come avete gestito le lunghe ore in cui si attendevano notizie sui feriti e sulle vittime?

Purtroppo con il passare del tempo ci siamo resi conto che le vittime superavano i feriti (43 contro 18, ndr). Quello che abbiamo vissuto con grande tristezza e rassegnazione è stata proprio l’attesa: è trascorso molto tempo tra l’arrivo del primo e del secondo ferito, e abbiamo iniziato a capire che la conta delle vittime stava iniziando a salire. Da noi al Villa Scassi ne hanno portati 8, e con il passare del tempo ci guardavamo senza volerlo ammettere esplicitamente. È stata una cosa che ci ha demoralizzati.
 

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