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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Salerno

Francesco Mastrogiovanni, aspettando la sentenza: "Giustizia per mio zio morto legato al letto"

Manca poco alla sentenza d'appello sul caso del maestro elementare "morto di fame e di sete" in ospedale durante un trattamento sanitario obbligatorio. La nipote lancia una campagna social "perché non accada mai più"

"Non voglio credere che li assolvano tutti. No, di fronte alla terribile evidenza di quelle immagini non si può non condannarli". Grazia Serra è la nipote di Francesco Mastrogiovanni, il "maestro più alto del mondo". Così lo chiamavano simpaticamente i suoi alunni, meravigliati dalla statura di quel gigante buono che, ricoverato in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio il 31 luglio 2009, è morto per edema polmonare nella notte del 4 agosto nel reparto psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania (Salerno), dopo un’ininterrotta contenzione chimica e meccanica di oltre ottanta ore.

Le immagini in questione, dure e crude come un pugno nello stomaco, sono quelle girate dalle telecamere di videosorveglianza proprio in quel reparto di psichiatria. Immagini, poi diventate un film, che mostrano che l'uomo era stato legato mani e piedi in un lettino d'ospedale ed era rimasto in stato di contenzione per giorni. Legato, nudo, affamato, assetato. Morto.

Martedì 15 novembre presso la Corte d’Appello di Salerno è prevista la sentenza d'appello a carico dei sei medici e dodici infermieri imputati per la sua morte. Nella sentenza di primo grado, pronunciata dal giudice Elisabetta Garzo, furono condannati i medici per sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto (il sequestro stesso) e falso in atto pubblico. Erano stati assolti, invece, tutti gli infermieri. 

Grazia, è vero che in quei giorni il personale dell'ospedale impedì a voi familiari di entrare e far visita a Francesco?

Sì, purtroppo è vero. In quei giorni dell'estate 2009 ho avuto un colloquio con un medico, ero col mio fidanzato. Gli chiesi perché mio zio, che aveva insegnato a scuola fino a pochi giorni prima, era stato ricoverato per un Tso. Ebbi risposte vaghe e poco chiare. Ci dissero che non potevamo vederlo perché c'era il rischio concreto di agitarlo, meglio star lontano dai parenti. Poi ho rivisto le immagini della contenzione. Ho visto come era ridotto mio zio proprio nel momento in cui io parlavo con quel medico e sono rimasta scioccata: era con un pannolone in un letto senza coprimaterasso, con piedi e mani legati. Un animale viene trattato meglio. Quel medico, nei suoi turni di lavoro nei giorni del ricovero, non si è mai avvicinato al letto di mio zio.

In primo grado i medici sono stati condannati e gli infermieri assolti. Cosa vi aspettate dalla sentenza di appello del prossimo 15 novembre? Temete un secondo "caso Cucchi", ricordando che nel processo d'appello per Stefano ci fu un'assoluzione piena per tutti gli imputati?

No, non ci voglio credere... Quelle immagini sono chiarissime e guardandole non si può non condannarli. Mi aspetto che venga riconosciuto colpevole chi lo merita.

Le accuse sono di sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto (il sequestro stesso) e falso in atto pubblico (visto che la contenzione non fu inserita nella cartella clinica). L'inserimento del reato di tortura nel nostro codice penale avrebbe potuto cambiare l'impianto di questo processo e le eventuali condanne?

Sicuramente sì, mio zio ha subìto una tortura e auspichiamo l’introduzione nell’ordinamento italiano di questo reato comprensivo dei trattamenti inumani e degradanti, dando così piena attuazione alla convenzione di New York del 1984. Francesco Mastrogiovanni è rimasto legato a quel letto per più di 87 ore, perché lo hanno tenuto così per un po' anche da morto. Non lo hanno alimentato. Il personale del reparto lasciava il vassoio col cibo lì accanto al letto, ma lui essendo legato non poteva muoversi. Dopo qualche ora, gli toglievano quel vassoio anziché aiutarlo a mangiare.

Francesco Mastrogiovanni è un "morto di Stato"? E il suo caso in questo senso può essere accomunato a quelli di Cucchi, Uva, Budroni, Aldrovandi?

Sono vicende diverse ma sì, in un certo senso sì perché quando è morto anche Francesco Mastrogiovanni era nelle mani dello Stato, in questo caso tra le mura di istituzioni mediche pubbliche.

I perché della tua battaglia di sensibilizzazione sui social network per "dare voce a Francesco Mastrogiovanni".

Serve per mantenere alta l'attenzione sul caso in attesa della sentenza d'appello del prossimo 15 novembre. E poi, soprattutto, per fare in modo che quello che è successo a lui non accada a nessun altro.

I primi che hanno aderito alla campagna “Diamo Voce a Franco” sono stati Chef Rubio, Il Muro del Canto (DanieleCoccia, Alessandro Pieravanti),  MoniOvadia, Pierpaolo Capovilla (Il Teatro degli Orrori), Eugenio Finardi, lo psichiatra Piero Cipriano e il regista Paolo Virzì. Per aderire alla campagna basta inviare un proprio video all’indirizzo email: diamovoceafranco@gmail.com dicendo “Diamo Voce a Franco”.
 

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