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Venerdì, 29 Marzo 2024
Caso Isochimica

Isochimica, quei trecento morti che camminano

Una bomba di amianto, morti e malattie. Un vortice buio di compiacenze, silenzi e potere. Tutto in uno dei disastri più grandi della storia industriale italiana: quello dell'Isochimica di Avellino

AVELLINO - Hanno la faccia stanca e il fisico provato. Parlano con rabbia, scuotono la testa. Si agitano al ricordo di quegli anni maledetti. E tremano al pensiero di un destino che, purtroppo, è già scritto. "Siamo dei condannati a morte". Sono queste le prime parole che escono dalla bocca di Carlo Sessa e Francesco D'Argenio, due dei trecento operai dell'ex Isochimica di Borgo Ferrovia di Avellino: la fabbrica che - ne è convinta la Procura che a maggio ha sequestrato il sito e indagato ventiquattro persone - ha ucciso nel silenzio di tutti. 

Per quasi dieci anni Carlo e Francesco hanno scoibentato 360 carrozze all'anno dei treni di Ferrovie dello Stato. Per quasi dieci anni hanno respirato amianto, hanno vissuto nell'amianto, si sono ammalati d'amianto. Per trenta anni Carlo e Francesco hanno chiesto giustizia, hanno sperato che qualcuno riconoscesse il "sacrificio" loro e degli altri lavoratori. E per trenta anni hanno lottato contro il potere e contro l'indifferenza, "malattie" capaci di fare male quanto e più dell'amianto. 

Entrare nell'Isochimica oggi è come entrare in un inferno. Nei capannoni che una volta accoglievano le carrozze, la polvere di amianto ha cancellato i pavimenti. Le mura esterne non si vedono più, c'è una fila interminabile di cubi di cemento amianto: cinquecento, forse seicento. Gli spazi dove i lavoratori trascorrevano l'ora di pausa pranzo sono diventati un campo minato: fra lastre ricoperte d'amianto e rovi che riescono a nascondere altri cubi mortali. E nel disastro totale sembra ancora di vedere quei giovani operai che nell'82 - in un'Irpinia ancora devastata dal terremoto - cominciarono la loro "missione per lo Stato". 

"Eravamo tutti giovani - racconta Francesco D'argenio, affetto da asbestosi iniziale - ci presero quando eravamo ancora ragazzini per fare la scoibentazione quanto più velocemente possibile". Ed è proprio da qui, dal primo giorno di lavoro, che secondo i Pm comincia una serie interminabile di leggi ignorate e di punti interrogativi strazianti. "La legge diceva che per questo tipo di lavori bisognava assumere persone ultracinquantenni perché le malattie asbesto correlate hanno un periodo di incubazione di trenta anni e invece noi avevamo un'età media di ventidue anni. Facendo lavorare i giovani sapevano che avrebbero finito il lavoro prima, ma - dice con rabbia l'ex lavoratore - ci hanno fatto ammalare e ci hanno costretto a combattere la malattia in un'età in cui è impossibile vincere. Ci hanno ucciso due volte". 

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Sì, perché - ne sono convinti gli ex dipendenti - è di omicidi che si tratta. Omicidi portati avanti  - dicono - da tutti coloro che oggi sono nei libri della Procura indagati a vario titolo: da Elio Graziano, che i lavoratori dipingono come il "potente proprietario della fabbrica"; dall'Asl di Avellino, che Carlo e Francesco dicono di non aver mai visto in quell'inferno che era l'Isochimica; dall'Inail che - attacca Antonio Amato, presidente della Commissione Regionale Bonifiche - "oggi non riconosce ai lavoratori i loro diritti"; da Ferrovie dello Stato che, gridano i lavoratori malati, "mai ha verificato le condizioni di lavoro". ​

"Nell'82, quando la fabbrica ancora non esisteva, scoibentavamo sui binari: a cielo aperto - raccontano Carlo e Francesco - Poi nell'83 siamo entrati all'Isochimica e lavoravamo senza alcuna protezione. Non avevamo guanti, né mascherine e trattavamo l'amianto senza neanche bagnarlo, lo toglievamo con un raschietto. Per difenderci da quella che, da giovani inesperti, credevamo fosse polvere, usavamo dei fazzoletti bagnati". 

Quella, però, non era polvere. Era amianto. "Quando nell'84 abbiamo capito cosa stava succedendo - ricordano - abbiamo cominciato a protestare chiedendo la chiusura della fabbrica. Era ed è l'unico caso in Italia in cui sono stati i lavoratori a chiedere la chiusura". "Pochi mesi dopo le proteste, in fabbrica sono arrivati dei dottori dell'Università Sacro Cuore che si sono rifiutati di entrare nella struttura. Era evidente che quel posto fosse mortale". 

Evidente a tutti, ma non alle autorità o agli inquirenti avellinesi che secondo i lavoratori continuano a non ascoltare le loro grida. "Dopo poco sono arrivate le prime mascherine in plastica, poi quelle in gomma e negli ultimi due anni di lavoro ci hanno dato delle tute". Solo l'ennesima presa in giro. "Nell'88 - confessa Carlo Sessa - i dottori del Sacro Cuore sono tornati e sotto i caschi delle nostre tute hanno trovato una quantità di amianto quattrocento volte superiore al consentito". I caschi dei lavoratori "riciclavano" l'aria del capannone: "Quell'aria noi la respiravamo e per quell'aria oggi moriamo". 

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Ma ancora una volta le perizie, i numeri spaventosi, non bastano. "Elio Graziano intanto è diventato presidente dell'Avellino della serie A e ha istituzioni e magistratura ai suoi pedi". Non quella di Firenze, però. E infatti nell'89 è il pretore di Firenze, Beniamino Deidda, a scrivere la parola fine. "L'ultimo anno noi le carrozze non le toccavamo più, eravamo esausti - dicono con sofferenza Carlo e Francesco - I collaudatori di Ferrovie dello Stato che lavoravano con noi all'interno dell'Isochimica facevano finta di nulla e rispedivano i vagoni a Firenze. In Toscana, però, i lavoratori si rifiutavano di 'operare' su quelle carrozze e quindi denunciarono anche loro". In pochi mesi Beniamo Deidda porta avanti le indagini e, inviando i carabinieri da Firenze, chiude l'Isochimica

Chiude, o almeno ci prova. Perché passano pochi mesi e "mentre trecento di noi erano in cassa integrazione, Elio Graziano chiama quattordici suoi dipendenti fedelissimi e continua a scoibentare per conto di Ferrovie dello Stato". Come è possibile? "Graziano - dicono sicuri i due ex operai - costruì la Elsid, una nuova azienda, che rilevò l'Isochimica e continuò le commesse che non erano state portate a termine". Quella che può sembrare una "semplice" denuncia di due lavoratori è tragicamente confermata da un'interrogazione parlamentare del 12 settembre 1992. Antonio Parlato, Movimento Sociale Italiano, chiede ai "Ministri dell'interno, della sanità, dei trasporti, del lavoro e della previdenza sociale e di grazia e giustizia" di indagare per "sapere se risulti rispondente al vero che molti parenti ed amici di Elio Graziano, personaggio non proprio in odore di santità, facciano parte della compagine societaria della Elsid (ex Isochimica) di Pianodardine (Av) di proprietà dei fratelli Carrino di Napoli". E se risponde al vero che "quest'impresa, dopo aver rilevato l'Isochimica, - denuncia Parlato -  continui ad operare per conto delle Ferrovie dello Stato la scoibentazione di trentaquattro carrozze ferroviarie ancora giacenti nello stabilimento". Il parlamentare sottolinea anche che "le richieste inoltrate alla procura della Repubblica, all'ispettorato del lavoro ed alla Usl n. 4 per verificare che la Elsid sia in possesso dei regolari permessi stabiliti dalla legge e la salubrità degli ambienti di lavoro, siano rimaste 'stranamente' inascoltate". 

Le richieste di Parlato, però, non sono le uniche ad essere inascoltate. Anzi. Anche le denunce di tanti dei lavoratori Isochimica non vengono mai prese in considerazione. I dipendenti, nel '94 prima e nel '98 poi, dicono chiaramente alla procura che "ogni giorno vedevamo camion carichi di amianto uscire dallo stabilimento. Ci sono tante deposizioni - spiega Carlo Sessa - di cittadini di Borgo Ferrovia che dai loro balconi vedevano tir che lasciavano sulle strade una lunga scia di amianto". "Nell'86 - ricorda D'Argenio - si era sparsa la voce che Graziano stava facendo scavare una piscina per noi operai. Il fosso, invece, serviva per sotterrare l'amianto che è stato 'nascosto' dappertutto: cave, fiumi, sotto gli stessi stabilimenti". 

Fino a qualche mese fa, fino all'intervento della procura a maggio scorso, nessuno ha visto nulla. "Due anni fa doveva arrivare ad Avellino Antonio Amato e tutta la commissione Bonifiche regionale per verificare lo stato del sito ex Isochimica. Noi - raccontano i lavoratori - eravamo entrati una settimana prima nella fabbrica e c'erano ancora trenta sacchi pieni di amianto. Il giorno del sopralluogo quei sacchi erano scomparsi". E, depositata in procura, c'è la denuncia di una signora di Borgo Ferrovia che ha chiaramente detto di avere visto nei giorni immediatamente precedenti all'arrivo della commissione numerosi camion carichi di sacchi lasciare l'ex Isochimica. 

Per venticinque anni, quindi, l'amianto era rimasto lì.

E, oggi, quando sono passati più di trenta anni dall'inizio delle attività, lo stabilimento è ancora un inferno di amianto. Per questo è nato Cocibis, un comitato di mamme di Borgo Ferrovia. "I nostri figli vanno a scuola a duecento metri dall'Isochimica - racconta Gabriella Testa del comitato - e giocano a pallone nel campetto a due passi dalla fabbrica. Vogliamo che tutta la zona venga bonificata e non ci fermeremo". 

La bonifica, evidentemente, è necessaria. Scrivono i periti della repubblica: "Ci sono cinquecento enormi cubi di amianto cemento friabile e deteriorato e sotto terra ci sono 2276 tonnellate di amianto. Nell'aria, ci sono fibre libere e respirabili". Negli anni, infatti, i cubi che sarebbero dovuti servire a "ingabbiare" l'amianto hanno ceduto. "Quei cubi - racconta Francesco D'Argenio - dovevano essere fatti con cento chili di amianto e cento di cemento. Al massimo - ammette - ci sono cinquanta chili di cemento in cento di amianto". 

Per l'Asl di Avellino - numerosi dirigenti figurano fra gli indagati - però è come se non fosse successo nulla. "Due anni fa - ricorda Carlo Sessa - la commissione morti bianche del Senato ha chiesto all'Azienda sanitaria se i cubi fossero a norma e l'Asl ha risposto che era tutto ok". Anche se, a quanto dicono i lavoratori, tutto ok non era. 

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Come se non fossero bastati i morti, "gli ultimi due compagni sono morti sabato mattina: ora sono in tredici che non ce l'hanno fatta". Come se non fossero bastate le malattie, "siamo in centoquaranta malati d'amianto certificati in pericolo di vita e sabato i medici di Salerno hanno annunciato che ottanta lavoratori salernitani sono malati". Come se tutto questo non fosse bastato l'incubo dei lavoratori ha ancora un altro capitolo amaro.

Sono tanti i dipendenti ai quali l'Inail ha riconosciuto una "malattia professionale asbesto correlata", ma sono pochi quelli ai quali l'ente ha riconosciuto una rendita. "Quasi tutti abbiamo percentuali inferiori al 16%" dicono con rabbia i due lavoratori. E quando la percentuale è inferiore al 16% si ha diritto ad un indennizzo per il danno biologico, ma non si ha accesso a nessuna rendita. Il caso più assurdo - raccontano Carlo e Francesco - è quello di Luigi Maiello, operaio avellinese morto d'amianto. Per l'Asl l'uomo ha avuto fino al giorno della sua morte una semplice bronchite e per l'Inail un riconoscimento del 16% di invalidità permanente per patologie asbesto correlate: 190 euro al mese. Pochi giorni prima dell'autopsia sul suo cadavere, la percentuale è stata "spostata" addirittura all'80%. Com'è possibile che si siano verificate "sviste" del genere? "Per trent'anni hanno cercato di insabbiare l'impossibile" è la 'sentenza' degli ex operai. 

Ex solo dell'Isochimica, però. Perché Carlo e Francesco, come tanti altri loro colleghi, sono ancora costretti a lavorare. E, beffa delle beffe, i due anni di cassa integrazione fatti mentre l'Isochimica avrebbe continuato a lavorare con un altro nome, non gli sono stati riconosciuti. "Noi, con un certificato di malattia professionale che ci rende invalidi permanenti siamo costretti ad alzarci la mattina per andare in fabbrica perché lo Stato non ha neanche il riconoscimento di mandarci in pensione prima". E lavorare per chi è malato non è semplice. "Sui posti di lavoro siamo discriminati - dicono con la rabbia negli occhi i due - ci sono aziende che ti mettono in mobilità o in cassa integrazione perché avere un lavoratore con certificato di malattia professionale non è uno scherzo". Poi c'è chi un lavoro non lo ha mai più trovato. "Ci sono aziende che oggi chiedono un certificato di sana e robusta costituzione - spiega l'avvocato Brigida Cesta, legale della famiglia Maiello e di alcuni ex lavoratori - Queste persone, malate a causa del loro lavoro, dove lo prendono un certificato di sana e robusta costituzione?". 

Ma più che un certificato, i lavoratori chiedono giustizia. "Noi siamo malati di Stato - recrimina Carlo Sessa - abbiamo fatto una bonifica per gli italiani. Ferrovie dello Stato con la complicità di Elio Graziano ha mandato un lavoro preciso ad Avellino: aprire la fabbrica, scoibentare e chiudere. Del fatto che le persone sarebbero morte nessuno si è preoccupato". E ora, trent'anni dopo, "con i morti e i malati sulla coscienza, non hanno neanche l'onestà di mandarci in pensione?".

Il momento della giustizia potrebbe finalmente essere arrivato. Il 9 maggio scorso Rosario Cantelmo, procuratore di Avellino, ha disposto il sequestro immediato del sito ex Isochimica e ha iscritto nel registro degli indagati ventiquattro persone, fra dirigenti Asl, Inail, Elio Graziano e parte della Giunta Comunale del 2005 che "finse" di effettuare la bonifica del sito. Scrivono i magistrati: "Gli indagati per raggiungere i loro scopi hanno agito nella piena consapevolezza degli enormi danni che sarebbero stati arrecati nell'ambiente e alla salute delle persone". Per questo le accuse sono gravi: disastro ambientale, omicidio colposo, lesioni e violazione delle norma antinfortunistica. 

"Finalmente in sede penale dovremmo essere in dirittura d'arrivo - esulta l'avvocato Cesta - siamo pronti al rinvio a giudizio. Chiediamo che vengano individuate le giuste responsabilità e i termini di queste responsabilità e chiediamo che venga riconosciuto a queste persone e ai familiari di chi è morto un equo risarcimento. Insistiamo, però, perché sul banco degli imputati finisca anche Ferrovie dello Stato. Cosa facevano - si chiede il legale - i collaudatori di Ferrovie dello Stato che lavoravano all'interno dell'Isochimica? Perché non hanno mai denunciato? E perché Ferrovie dello Stato, che sapeva di mandare carrozze piene di amianto, non ha mai vigilato su come avveniva la scoibentazione?". 

Semplicemente, dicono amari Carlo e Francesco, "hanno trovato qui ad Avellino qualcuno disposto a sacrificare trecento persone". Ma quelle persone, trenta anni dopo, non si sono ancora arrese. E ora chiedono solo che i processi partano prima possibile, "altrimenti non li vediamo neanche". E almeno questo agli "eroi dell'Isochimica" lo si deve. 

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