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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Milano

L'ombra della mafia su Lidl e sulla vigilanza del Tribunale di Milano

Quindici persone sono state arrestate su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. L'accusa è associazione a delinquere per agevolare il clan dei "Laudani"

Quindici arresti, il commissariamento di una società privata di vigilanza - quella che gestisce il Tribunale di  Milano - e la presa in carico come "amministrazione giudiziaria" di quattro direzioni generali della Lidl - Volpiano (Torino) Biandrate (Novara), Somaglia (Lodi), e Misterbianco (Catania), cui afferiscono circa duecento punti vendita. La società tedesca non è indagata come società ma per i magistrati la carenza di controlli interni ha contribuito colposamente ad agevolare 'cosa nostra'.

Dalle prime ore di lunedì, militari del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Varese e personale della Squadra mobile della Questura di Milano hanno eseguito quindici misure cautelari personali, emesse dal gip del Tribunale di Milano, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia. Sono accusati a vario titolo di far parte di un’associazione per delinquere che ha favorito gli interessi, in particolare a Milano e provincia, della famiglia mafiosa catanese dei “Laudani” o “Mussi i ficurinia”.

Sono state eseguite anche sessanta perquisizioni locali tra Lombardia, Piemonte, Puglia e Sicilia, sequestri preventivi di beni immobili, quote sociali, disponibilità finanziarie.

Due presunti membri della famiglia mafiosa Laudani sono stati fermati dalla polizia di Stato e dalla guardia di finanza in provincia di Catania.

La governance di Lidl Italia si contraddistringue per la mancanza di controlli interni in chiave anti-corruzione, sottolineano i giudici della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano nel decreto di commissariamento di quattro direzioni generali di Lidl Italia. I magistrati stigmatizzano Lidl soprattutto per quanto riguarda “l’assenza di efficaci meccanismi di controllo interno che consentano, pur in presenza di un’attività dolosa posta in essere da soggetti legati da un rapporto di lavoro subordinato, di evitare che forme di corruttela privatistica alterino la competitività del mercato ed impediscano l’ingresso di figure legate a sodalizi criminosi”.

Secondo il collegio di giudici presieduto da Fabio Roia, inoltre, “non può essere invocata una posizione di buona fede” da parte dei manager Lidl coinvolti. Dirigenti che da un lato “percepiscono denaro per assegnare lavori in favore degli indagati” mentre dall’altro “intrattengono, in via diretta o indiretta, rapporti con soggetti appartenenti alla famiglia mafiosa dei Laudani in grado di orientare le scelte di Lidl nella scelta degli appaltatori di servizi”.

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