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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Così clan e 'ndrine hanno conquistato Milano

La "mafia imprenditoriale" ha messo radici in città: tra le nebbie milanesi continua a rinnovarsi il patto di mutua collaborazione che ha legato il gotha della 'ndrangheta reggina e selezionatissimi clan siciliani, almeno dagli anni ’70

MILANO - Di lui dicono che a Milano amasse girare in Ferrari. Quando invece tornava a Palermo per trascorrere le vacanze, ormeggiava il suo megayacht non distante dalla città, abbastanza lontano per non essere disturbato, sufficientemente vicino perché tutti lo riconoscessero. Era un uomo che voleva farsi ammirare Giuseppe Porto. Ma per gli inquirenti che su di lui hanno indagato e per gli investigatori che ieri gli hanno stretto le manette ai polsi era soprattutto un uomo-ponte. Un tramite. Fra gli eredi di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, considerato da Paolo Borsellino l’uomo chiave del riciclaggio di Cosa nostra in Lombardia, con i clan in Sicilia. Ma anche – se non soprattutto – con le 'ndrine calabresi all’ombra della Madonnina.  

'Ndrine e clan ancora una volta vengono pizzicati a fare affari insieme, ma non si tratta degli ormai noti traffici di droga, gestiti in joint venture. Hanno messo le mani sul cuore produttivo di quella che un tempo si proclamava la capitale morale del Paese. E da lì tentano – nella maggior parte dei casi con successo – di tirare le fila di elezioni e amministrazioni.

“L’associazione contestata - scrive il gip Stefania Donadeo - corrisponde alla tipologia della cosiddetta "mafia imprenditoriale", cioè un'associazione tra persone che si avvalgono della forza, della storia, della fama e dei metodi della realtà criminale a cui appartengono non per realizzare in via esclusiva attività direttamente ed evidentemente illegali, bensì per entrare nel tessuto economico della zona di influenza e trame il massimo beneficio”.

Le mani della mafia in Lombardia: otto arresti

E' questa la Milano raccontata dall’indagine Esperanza, nell’ambito della quale – su richiesta del pm Marcello Tatangelo - sono scattate le manette per Cinzia Mangano, classe 1969, figlia minore di Vittorio Mangano, il genero dell’ex stalliere di Arcore, Enrico Di Grusa, Orlando Basile, Alberto Chillà, Antonio Fabiano, Giuseppe Porto, Walter Tola e Vincenzo Tumminello. Ma se a balzare agli occhi delle cronache è il nome della figlia di Cinzia Mangano -  figlia di quel Vittorio definito qualche anno fa “eroe” dall’ex senatore Marcello Dell’Utri – oggi divenuta erede di un potere criminale che da almeno quarant’anni a Milano si perpetua, la notizia sembra essere un’altra: tra le nebbie milanesi continua a rinnovarsi il patto di mutua collaborazione che ha legato il gotha della 'ndrangheta reggina e selezionatissimi clan siciliani, almeno dagli anni ’70. Una joint venture criminale forgiata all’ombra dei piani eversivi che hanno segnato le pagine buie della Repubblica italiana e oggi si rinnova anche nell’universo liquido dell’economia milanese. Dove clan e 'ndrine si sono infiltrati, hanno messo radici e oggi sembrano avere in mano il bastone del comando.  

Di certo, dominante era la posizione raggiunta all’interno dell’Ortomercato milanese dalle cooperative di facchinaggio e logistica dell’entourage dei Mangano che “accumulavano fondi neri grazie all’emissione di fatture false e allo sfruttamento di manodopera clandestina, impiegata in condizioni animalesche”. Un luogo non nuovo alle indagini della Dda meneghina. Nel 2007, proprio l’Ortomercato diventa il fulcro delle indagini che porteranno dietro le sbarre Salvatore Morabito, rampollo della potentissima 'ndrina di Africo, centro di poche migliaia di abitanti ma vera e propria capitale del mandamento jonico dei clan reggini. Ufficialmente assunto come facchino, Morabito ai cancelli si presentava in Porsche. E ovviamente non ha mai sollevato neanche una cassa. Per gli inquirenti è lui il terminale ultimo di una rete di società, consorzi e cooperative legate a doppio filo al clan, utilizzati per riciclare e investire i proventi del traffico di droga, che nell’Ortomercato aveva trovato non solo un’ottima copertura ma anche un trampolino di lancio. In manette finiscono venti persone, inchiodate da un castello accusatorio che negli anni reggerà in primo grado e in appello.

"Faccendieri" imposti dalla Regione in cambio di delibere milionarie

Ma indagando su Morabito, gli inquirenti inciampano anche in Giuseppe Porto, che sembra aver giocato un ruolo non indifferente nell’ascesa del rampollo di Africo, già noto trafficante di droga, all’interno dell’Ortomercato. “In definitiva Pino Porto, in quegli anni diventato uomo di fiducia di Cinzia Mangano, si mette a disposizione di Morabito Salvatore per consentire anche a Morabito di effettuare il salto di qualità da grosso trafficante di droga a imprenditore di punta nel settore della logistica. E si registra un rapporto di mutua assistenza tra siciliani e calabresi, la cui convenienza si comprende in ragione dei comuni rapporti di affari tra gli stessi”. Ma i rapporti non si limitano a questo: “Emergono – si legge nell’ordinanza - precisi collegamenti tra le cooperative di Pino Porto e le cooperative di Morabito, ossia quelle facenti capo al Consorzio Europa 2004 di Veneruso Mariano, uomo di fiducia di Morabito Salvatore”. Un legame confermato anche dai summit fra le teste di legno e i picciotti di fiducia dei due boss, pizzicati nel corso degli anni a riunirsi con regolarità al distributore di benzina di piazzale Corvetto, individuato dagli inquirenti come stabile luogo di ritrovo degli esponenti delle due consorterie.

"50 euro per un voto": arrestato l'assessore Domenico Zambetti

Una collaborazione che sopravvive e si rinnova anche dopo l’arresto di Morabito e non si limita agli affari. Curiosamente, nel 2010 anche a Pino Porto - su segnalazione del "suo" candidato al Comune, l’ex finanziere Gianni Lastella candidato e non eletto nelle liste del Popolo della Libertà - alle amministrative del 2011 verrà chiesto di "sostenere il candidato del Pdl Domenico Zambetti che successivamente verrà eletto e diventerà assessore alla Casa della Giunta Formigoni". Lo stesso soggetto pizzicato a comprare un pacchetto di voti dai boss lombardi Eugenio Costantino, considerato espressione del clan Mancuso al Nord, e Alessandro Gugliotta, che insieme agli uomini di peso della 'ndrangheta in Lombardia, alle regionali del 2010 avevano deciso di puntare sul futuro assessore alla casa della Giunta Formigoni. Un appoggio costato al consigliere Pdl 200mila euro, pagabili in comode rate, ma che per i clan significa – spiega il gip milanese Giuseppe Gennari nell’ordinanza di custodia cautelare – “la possibilità di ottenere agevolazioni nell’assegnazione di lavori e appalti pubblici gestiti dalla Regione Lombardia come reiteratamente promessogli dallo stesso assessore regionale Domenico Zambetti”. Un progetto che sembra essere d’interesse tanto per Costantino, come per Giuseppe D’Agostino, gestore di locali notturni, già condannato negli anni scorsi per traffico di droga, ritenuto  esponente della cosca calabrese dei Morabito-Bruzzaniti di Africo. Lo stesso clan che all’Ortomercato fa affari con Pino Porto e – curiosamente – all’epoca delle consultazioni riesce a convincere l’uomo dei Mangano ad appoggiare il proprio candidato. Un favore cui – lasciano intendere i pm – non si sottrae. Allo stesso modo, Pino Porto sembra disponibile a offrire un pacchetto di voti a sostegno della candidatura di Abelli, l’ex presidente della commissione salute in Lombardia e – all’epoca - pizzicato a "chiacchierare di voti" con gli uomini della famiglia Castellese, clan cerniera fra 'ndrangheta e Cosa nostra a Milano. Lì dove all’ombra del Duomo le consorterie criminali hanno preso possesso della città. Che oggi, sotto il loro peso, inizia a boccheggiare.


*Alessia Candito è autrice di "Chi comanda Milano" (ed. Rx Castelvecchi)

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