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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca Palermo

Nino e Ida, marito e moglie incinta uccisi davanti al cancello di casa: finalmente una svolta nelle indagini

Antonino Agostino era un poliziotto, sua moglie Ida aspettava un bambino: due killer a bordo di una moto li freddarono davanti al cancello della loro casa in provincia di Palermo. Oggi, dopo trentuno anni, c'è una svolta delle indagini. I dettagli

Un terribile duplice delitto irrisolto, indagini complesse, reticenze, tentativi di depistaggio, documenti spariti. E "un'assenza" pesante come un macigno: la verità. Ma ora, dopo trentuno anni, arriva una svolta nelle indagini per l'omicidio del poliziotto Antonino Agostino (detto "Nino") e della moglie Ida Castelluccio, barbaramente uccisi nel 1989: la Procura generale di Palermo ha infatti chiesto il rinvio a giudizio dei boss Antonino Madonia, Gaetano Scotto e di Francesco Paolo Rizzuto, un amico dell'agente ucciso. I primi due rispondono di duplice omicidio, il terzo indagato di favoreggiamento aggravato.

L'omicidio di Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio: chiesto il processo per due boss

Facciamo un passo indietro. E' il 5 agosto del 1989. Nino Agostino e la giovane moglie Ida, che aspettava un bambino, furono freddati davanti al cancello della loro casa a Villagrazia di Carini, in provincia di Palermo. A sparare, secondo quanto emerso finora, furono due killer giunti a bordo di una moto di grossa cilindrata, poi ritrovata parzialmente bruciata non distante dal luogo del delitto. I due furono ammazzati a colpi di pistola, in un agguato di stampo mafioso, proprio mentre stavano raggiungendo la famiglia a Villagrazia di Carini per festeggiare un compleanno. Agostino venne colpito da vari proiettili, mentre la Castelluccio venne raggiunta da un solo colpo e cominciò a strisciare per terra per avvicinarsi al marito morente.

I genitori di Agostino, sentiti gli spari, andarono a soccorrere il figlio e la nuora, ma non c'era più niente da fare: erano entrambi già morti. Quel giorno Nino Agostino non portava armi addosso. La squadra mobile di Palermo seguì inutilmente per mesi un'improbabile "pista passionale". Attualmente i mandanti e gli esecutori del delitto sono ancora ignoti. In questi lunghi trentuno anni l'inchiesta si è dovuta confrontare con molti tentativi di depistaggio contro i quali si è battuto il padre di Nino, Vincenzo Agostino. E la sua lunga barba è diventata il simbolo di una verità negata: ha giurato di non tagliarla fino a quando gli assassini del figlio e della nuora non saranno in cella.

Le indagini, i presunti esecutori e il movente

Oggi la Direzione investigativa antimafia sottolinea che "le indagini si sono rivelate da subito particolarmente complesse, principalmente per alcune evidenti anomalie". Reticenze, documenti spariti che hanno reso le indagini un rebus. "In primo luogo - spiegano dalla Dia - risultava assente un qualsiasi movente plausibile. Dalle prime investigazioni e dalle dichiarazioni dei suoi 'superiori', Antonino Agostino appariva essere un agente addetto al servizio 'volanti' del Commissariato di Palermo - San Lorenzo, che non aveva mai svolto attività investigativa né, tantomeno, ricoperto incarichi sensibili".

"Nessuna ombra del resto vi era mai stata sulla sua vita professionale - continua la Dia -. In secondo luogo venivano sottratti alla cognizione della magistratura documenti essenziali per l’accertamento della causale dell’omicidio, mediante la distruzione di manoscritti dell’Agostino rinvenuti nel corso di una perquisizione eseguita dopo il duplice delitto. L’accertamento dei fatti veniva altresì ostacolato dalla iniziale reticenza di vari soggetti informati della segreta operatività dell’Agostino nell’ambito di una struttura di intelligence, nonché dall’assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, indici entrambi del peculiare regime di segretezza che aveva caratterizzato l’ultimo segmento di vita della vittima e le ragioni della sua soppressione che dovevano restare occulte anche all’interno di Cosa nostra".

Nella complessa ricostruzione operata dalla Procura generale di Palermo, basata sulle indagini condotte dalla Dia e su inedite dichiarazioni di collaboratori di giustizia, di persone informate, su intercettazioni e su risultanze investigative acquisite nell’ambito di un’attività di coordinamento con altre Procure della Repubblica, "è emerso che l’agente Agostino, assolveva anche 'mansioni coperte', che esulavano dai suoi compiti ordinari istituzionali, con particolare riferimento ad iniziative assunte unitamente ad esponenti di spicco dei Servizi di sicurezza e apparentemente finalizzate alla ricerca di latitanti di mafia di spicco". 

Alcuni collaboratori di giustizia hanno poi dato informazioni sui presunti esecutori materiali del delitto, indicando Gaetano Scotto e Antonino Madonia. E con le parole dei collaboratori si è fatta luce anche sul movente "che si è rivelato di peculiare complessità, poiché ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di Cosa nostra e alcuni esponenti infedeli delle istituzioni".

La ricostruzione della Procura generale di Palermo

Ora la ricostruzione della Procura generale di Palermo è al vaglio del giudice dell'udienza preliminare. E secondo questa ricostruzione, "Agostino faceva parte, insieme a Emanuele Piazza, Giovanni Aiello (il cosiddetto 'mostro'), Guido Paolilli (anche lui agente della polizia e mentore dello stesso Agostino, che aveva provveduto a reclutare), ed altri componenti allora apicali dei Servizi di sicurezza, di una struttura di intelligence che, in fase di reclutamento, veniva rappresentata con finalità di reclutamento come ricerca latitanti, ma che in realtà si occupava di gestire complesse relazioni di cointeressenza tra alcuni infedeli appartenenti alle istituzioni e l’organizzazione criminale Cosa nostra".

Sempre stando alla ricostruzione della Procura, è emerso poi "che Agostino aveva, nell’ultima parte della sua vita, compreso le reali finalità della struttura cui apparteneva (alla quale aveva offerto una pista molto seria - legata a familiari della moglie - per pervenire alla cattura di Salvatore Riina a San Giuseppe Jato), e se ne era allontanato poco prima del suo matrimonio, fatto che era stato posto a fondamento della decisione di uccidere lui e la moglie". In particolare, sono oggetto dell'istruttoria compiuta "rapporti di appartenenti alle istituzioni con Antonino Madonia, incontrastato capo del mandamento di Resuttana, e Scotto Gaetano, anche lui appartenente allo stesso mandamento e da sempre indicato come trait d’union con appartenenti ai Servizi di sicurezza".

Il ruolo dei collaboratori di giustizia

La Direzione investigativa antimafia sottolinea che "le prove raccolte, ora offerte alla valutazione del gup, riguardano non solo dichiarazioni di collaboratori di provata fede (come Vito Galatolo, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo, Giuseppe Marchese, Francesco Onorato) ma anche di testimoni vicini all’Agostino, come colleghi e familiari". Ulteriori conferme sarebbero scaturite dalle intercettazioni telefoniche "che hanno dimostrato il coinvolgimento della struttura in alcuni importanti depistaggi".

Dalle indagini condotte dalla Dda di Palermo e acquisite dalla Procura generale, sono emersi anche rapporti di Agostino con il giudice Giovanni Falcone, nella fase in cui il giudice ucciso nel 1992 condiceva indagini delicate sulla cosiddetta "pista nera" per l’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella".

Nel corso delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, detto “Paolotto”, ancora minorenne nel 1989, amico personale di Antonino Agostino. "Rizzuto, come risulta in atti, al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Antonino a una battuta di pesca - si legge nella nota della Dia -. Successivamente, i due avevano dormito presso l’abitazione estiva degli Agostino a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, Agostino si sarebbe recato in ufficio, mentre Rizzuto si sarebbe attardato presso gli Agostino. In merito, è stato grazie alle tenaci investigazioni condotte dalla Dia di Palermo che è stato possibile raccogliere prove, attraverso attività tecniche riservate, che ora sono al vaglio del Gup, sul fatto che Rizzuto, in più occasioni, abbia reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura generale)".

"Tramite intercettazioni, invero, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi financo sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti". Per questo motivo Francesco Paolo Rizzuto è indagato per favoreggiamento personale aggravato.

Un dolore lungo 31 anni, le parole del papà di Antonino Agostino

"Finalmente ho trovato la magistratura, la procura generale di Palermo che ha avuto le palle ed è andata fino in fondo, non si è lasciata fermare. Dopo 31 anni finalmente la mia innamorata (la moglie Augusta Schiera morta nel marzo dello scorso anno, ndr) che ha sempre detto che non poteva morire senza avere verità e giustizia, potrà riposare in pace". Vincenzo Agostino commenta così all'Adnkronos la notizia delle tre richieste di rinvio a giudizio. "Questo processo si poteva fare subito dopo l'omicidio di mio figlio - continua Vincenzo Agostino -. Nel suo armadio c'era tutto, nei suoi documenti aveva scritto tutto, aveva visto chi erano i corrotti". Documenti scomparsi durante una perquisizione.

Il papà Vincenzo ha sempre ripetuto che la verità sull'assassinio di suo figlio "era dentro lo Stato". "Adesso devono pagare tutti - dice - anche gli uomini deviati dello Stato, chi ha deciso di secretare i documenti di mio figlio. Adesso mi aspetto che finalmente si vada fino in fondo e quando questo processo sarà finito mi taglierò barba e capelli, come ho promesso". 

Vincenzo Agostino vuole giustizia, capire cosa è successo e anche per questo intende incontrare Francesco Paolo Rizzuto, quell'amico di Antonino che 31 anni fa lo avrebbe tradito. "La notte prima dell'omicidio - racconta Vincenzo - erano usciti insieme a pesca. Non capisco perché lo hanno tradito. Antonino era amico di Francesco e di suo padre, voglio capire perché hanno fatto da basisti. Non li ho mai incontrati in questi anni, ma adesso penso che dovrei farlo".

"Se qualcosa si muove lo si deve ad alcuni inquirenti che, instancabilmente, non hanno desistito", ma "la battaglia non è semplice, e non la si vince se non con un lavoro che continua, silenziosamente, imperterrito, duro, capace di non rallentare dopo decenni di tentativi, di muri di gomma, di silenzi". Lo scrive su Facebook il senatore del Movimento 5 stelle e presidente della Commissione antimafia, Nicola Morra. Nel post, Morra riporta le dichiarazioni del padre del poliziotto ucciso il 5 agosto del 1989. "La verità sulla morte di mio figlio e di mio nuora è dentro lo Stato. Ringrazio i magistrati per il loro prezioso lavoro, finalmente dopo tanti anni vediamo la speranza di un processo. E' un punto di partenza, perché non conosciamo ancora i nomi dei mandanti. Qualcuno dentro lo Stato sa, ma continua a restare in silenzio".

Per Nicola Morra si tratta di "parole che fanno comprendere la sofferenza, enorme, di un padre, Vincenzo Agostino, che dopo 31 anni forse potrà conoscere la verità sull'omicidio di suo figlio. Parole che però non escludono un reale motivo di speranza". Grazie "alla procura generale di Palermo - conclude il presidente della Commissione antimafia-, ma anche e soprattutto a Vincenzo Agostino, un uomo eccezionale, la cui grandezza è direttamente proporzionale alla sofferenza vissuta insieme alla moglie".

Continua la battaglia di Vincenzo Agostino: ''Voglio giustizia. I soldi non mi interessano''

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I genitori di Antonino Agostino. Foto Ansa

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