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Martedì, 16 Aprile 2024
PROCESSI

Omicidio Scazzi, Sabrina in lacrime: "Non ho ucciso Sarah"

L'estetista 27enne ha preso la parola in aula al processo d'appello. Assente la madre Cosima Serrano. Il Procuratore Generale: "L'unica tesi alternativa è che ad uccidere sia stato Michele Misseri".

"Io non ho ucciso Sarah, sono molto addolorata che si pensi che l'ho uccisa io, solo io so cosa sto passando perché non c'è più". Inizia così la discussione al processo d'appello per l'omicidio di Sarah Scazzi, la studentessa di 15 anni strangolata e gettata in un pozzo ad Avetrana il 26 agosto 2010.

Cosima Serrano, condannata con la figlia Sabrina all'ergastolo in primo grado per l'omicidio di Sarah Scazzi, non è in aula per ascoltare la requisitoria del Pg al processo d'appello.

È in aula invece Sabrina Misseri. L'estetista 27enne prende la parola in aula, visibilmente emozionata: "Non ho ucciso io Sarah". Poi scoppia in lacrime e dice di non sentirsela di continuare a parlare. 

Il difensore avvocato Franco De Iaco spiega che la donna non ha gradito le manette imposte dalla scorta della polizia penitenziaria ed ha preferito restare in carcere.

Il sostituto procuratore generale Antonella Montanaro esordisce così rivolgendosi alla corte d'Assise d'appello dicendo: "Chi ha ucciso Sarah Scazzi? La domanda ha martellato l'Italia per anni. Adesso tocca a voi decidere se la sentenza di primo grado vi ha offerto la certezza processuale che ad uccidere Sarah e ridurla in quelle condizioni dopo essere stata in un pozzo per 42 giorni sia stato Michele Misseri o siano state Sabrina e Cosima, perché non c'è alternativa. L'unica tesi alternativa è che sia stato Michele Misseri".

Il Pg spiega in aula che le indagini non sono state affatto unilaterali, anzi sulle prime si era pensato ad un rapimento (tesi fortemente sostenuta dalla stessa Sabrina).

Poi aggiunge che si tratta di un omicidio familiare particolarmente violento, maturato in un contesto di rapporti difficili, rabbia, gelosia, invidia ed in un ambiente provinciale, quello di Avetrana, in cui "ognuno pensa alla propria famiglia". Il tenore della requisitoria fa supporre che la procura generale si avvia a chiedere la conferma delle condanne di primo grado.

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