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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

In tende, baracche e container: l'inferno dei migranti esclusi dall'accoglienza

Sono regolarmente presenti sul territorio italiano, ma migliaia di rifugiati e richiedenti asilo restano fuori dal sistema di accoglienza previsto dalla legge. Chi sono e come vivono: il dossier di Medici Senza Frontiere sugli "insediamenti informali" nelle città italiane

Difficile accoglierli tutti. Complicato dare spazi, aiuto, beni essenziali, cure mediche a tutti. Sì, ma lo prevede la legge. Eppure sono migliaia i richiedenti asilo che, pur essendo regolarmente presenti sul territorio italiano, non hanno un posto adeguato nel sistema di accoglienza, o a cui l'accoglienza viene revocata sommariamente. E sono migliaia i rifugiati in uscita dai centri governativi, al termine della procedura di asilo, che di fatto non hanno ricevuto adeguati strumenti per integrarsi nella società. Lo denuncia la seconda edizione del rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF) “Fuori campo”, frutto di un lavoro di monitoraggio compiuto nel 2016-2017 in circa 50 insediamenti informali, per un totale di diecimila persone, in prevalenza richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale o umanitaria.

La mappa di MSF di migranti e rifugiati esclusi dal sistema di accoglienza

E allora come e dove vivono queste migliaia di richiedenti asilo e rifugiati che, lo ripetiamo a scanso di equivoci, sono regolarmente presenti in Italia? Bloccati alle frontiere, negli spazi aperti e negli edifici occupati delle città, nei ghetti delle aree rurali, senza accesso ai beni essenziali e alle cure mediche di base, spesso costretti a condizioni di vita durissime. “Dopo due anni, Fuori Campo si conferma una triste mappatura della vulnerabilità e dell'emarginazione sociale cui sono costrette migliaia di uomini, donne e bambini che avrebbero diritto ad accoglienza e protezione mentre oggi non hanno nemmeno un riparo decoroso, cibo sufficiente, l’accesso a cure essenziali”, dichiara Giuseppe De Mola, advocacy officer MSF, curatore del rapporto Fuori Campo. “Una situazione desolante, che non ha bisogno di strumentalizzazioni e inapplicabili slogan, ma di soluzioni reali, a partire da un più adeguato modello di accoglienza e da serie politiche di integrazione, a livello nazionale, regionale e locale”.

Rispetto al quadro delineato nella prima edizione del rapporto riferita al 2015, i recenti sgomberi forzati senza soluzioni abitative alternative stanno determinando la frammentazione degli insediamenti informali e la costituzione di piccoli gruppi di persone che vivono in luoghi sempre più marginali e che non riescono ad accedere non solo ai servizi socio-sanitari territoriali, ma anche ai beni più elementari come l’acqua, il cibo, l’elettricità. Tra loro ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni, titolari di una forma di protezione internazionale o umanitaria ma che faticano a raggiungere un inserimento lavorativo e abitativo stabile.

In alcuni siti, ci sono anche italiani a condividere le condizioni dei migranti. In molti casi l’assistenza a migranti e rifugiati esclusi dall’accoglienza viene garantita da gruppi di volontari locali, che spesso per questo motivo subiscono forti pressioni, talvolta culminate in procedimenti giudiziari nei loro confronti.

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Il caso Ventimiglia

Nell’ambito della propria analisi sui migranti in Italia, Medici Senza Frontiere dedica un’indagine specifica, “Mal di Frontiera”, al caso Ventimiglia. Qui i respingimenti dalla Francia continuano nonostante gli accordi di Schengen sulla libera circolazione siano ancora formalmente in vigore, e quasi 1 migrante su 4 tra quelli intervistati da MSF ha dichiarato di avere subito violenze, in molti casi commesse da uomini in uniforme di nazionalità italiana o francese. A causa della chiusura delle frontiere da parte di Francia, Austria e Svizzera, più di 20 persone negli ultimi due anni sono morte nel tentativo di attraversare i confini e cresce ovunque il numero di migranti, anche minori non accompagnati, bloccati nelle aree di frontiera, che vivono in insediamenti informali, spesso all’aperto, nei parchi cittadini, lungo le rive dei fiumi, presso le stazioni ferroviarie, con un accesso limitato ai beni essenziali e all’assistenza sanitaria.

In alcune città, si legge nel report, le istituzioni locali hanno cercato di superare la condizione di marginalità di alcuni insediamenti informali, anche all’interno di edifici occupati, rifuggendo dalla logica degli sgomberi forzati (come a Torino, Padova, Cosenza); alcune Aziende Sanitarie Locali hanno promosso l’inclusione degli abitanti di insediamenti informali nel servizio sanitario pubblico, anche in collaborazione con MSF (Torino e Roma). Tutte esperienze concrete, che vanno nella direzione dell’integrazione sociale di uomini, donne e bambini che si trovano comunque a vivere in una condizione di vulnerabilità estrema. “Molte delle attuali politiche locali, nazionali ed europee per la gestione della migrazione sono totalmente incentrate sul controllo dei flussi e la chiusura delle frontiere, alla proclamata ricerca di sicurezza, ma hanno come risultato diretto la creazione di vulnerabilità e marginalità sociale”, dichiara Tommaso Fabbri, capo dei programmi MSF in Italia. “È ora di invertire la rotta e dare vita a politiche di accoglienza e integrazione strutturali e più umane: ne beneficerebbero, oltre che migranti e rifugiati, anche le comunità locali”.

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La mappa degli insediamenti informali visitati da MSF: dove sono

Torino, Milano, Firenze, Roma, Foggia, passando per città di frontiera come Ventimiglia, Como, Gorizia e Bolzano, sono circa diecimila le persone escluse dall’accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, incontrate da MSF nei circa 50 insediamenti informali visitati per il rapporto Fuori Campo in tutta Italia.

  • Chi sono: Si tratta di richiedenti asilo a cui non viene concesso un posto in accoglienza come prevede la legge, o a cui viene revocata sommariamente, e rifugiati in uscita dai centri governativi al termine della procedura di asilo, ma che di fatto non hanno ricevuto adeguati strumenti per integrarsi nella società.
  • Come vivono: Finiscono così a vivere in insediamenti informali, all’aperto o in palazzi occupati nelle città, in autentiche baraccopoli nelle aree rurali, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali (un tetto dignitoso, cibo sufficiente, acqua ed elettricità) e ai servizi socio-sanitari territoriali. Soprattutto nelle città, a seguito delle recenti misure sulla sicurezza e il decoro urbano, gli sgomberi forzati in assenza di soluzioni abitative alternative stanno determinando la frammentazione degli insediamenti informali e la costituzione di nuclei ristretti di migranti che vivono in luoghi sempre più marginali. Talvolta, all’interno degli insediamenti informali e nelle occupazioni più strutturate, insieme ai migranti vivono anche cittadini italiani, che condividono le medesime condizioni di marginalità.
  • 47 luoghi informali in 12 regioni: Trentino Alto Adige (1), Calabria (5), Campania (2), Emilia Romagna (1), Friuli Venezia Giulia (4), Lazio (11), Liguria (1), Lombardia (3), Piemonte (5), Puglia (7), Sicilia (6), Toscana (1).
  • Tipologia: i siti informali sono edifici abbandonati o occupati (53%), luoghi all’aperto (28%), tende (9%), baracche (4%), casolari (4%), container (2%).
  • Servizi: il 45% degli insediamenti ha accesso all’acqua e all’elettricità, il 55% no.
  • Composizione: il 53% degli insediamenti è abitato soltanto da uomini adulti, 13% da uomini e donne adulti, il 34% da adulti con minori. In 17 su 47 insediamenti informali è stata riscontrata la presenza di minori al di sotto dei 5 anni.
  • Nazionalità: ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni, titolari di una forma di protezione internazionale o umanitaria ma che faticano a raggiungere un inserimento lavorativo e abitativo stabile. In alcuni insediamenti informali si riscontra anche la presenza di cittadini italiani che condividono con richiedenti asilo e rifugiati le medesime condizioni di marginalità e vulnerabilità. 
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