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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca Milano

Ancora scritte razziste e minacce contro un giovane senegalese adottato: "Ammazza al negar"

Nell'androne del palazzo dove vive a Melegnano la famiglia che ha adottato il 22enne Bakary Dandio è comparsa una nuova scritta razzista insieme a una svastica. Poche settimane fa c'era già stato un episodio simile

Ancora una volta sono comparse scritte razziste e minacciose nell'androne di un palazzo di Melegano (Milano) dove vive una famiglia italiana insieme al figlio adottivo senegalese di 22 anni. La prima volta era comparsa la frase "pagate per questi di merda". Nella notte tra domenica e lunedì, qualcuno ha scritto "ammazza al negar", completando il tutto con una svastica. 

Il bersaglio ancora una volta è Bakary Dandio, adottato ufficialmente nell'ottobre 2018  da una coppia di coniugi che lo ospitava da tempo e che, anche questa volta, ha denunciato subito con coraggio quanto accaduto alle autorità. Bakary è Italia da diversi anni, perfettamente integrago. Pratica sport e milita nell'Atletica Leggere Melegnano e ha vinto i campionati nazionali di atletica leggere del Csi nei 400 e 800 metri. E' piuttosto conosciuto nel comune a sud-est di Milano. 

Solidarietà a Bakary Dandio: "No al razzismo"

Proprio domenica 17, poche ore prima che comparisse la seconda scritta, sui campi di calcio melegnanesi in cui erano impegnate le squadre giovanili i ragazzi sono scesi in campo con due striscioni di solidarietà: "#ioStoConBak" (hashtag lanciato dal Csi) e "No al razzismo".

"In tutta Italia, purtroppo, non fanno notizia i moltissimi casi di integrazione di successo che conosce il Csi quotidianamente sui propri campi e palestre, come questo di Bak", aveva dichiarato Vittorio Bosio, presidente nazionale del Csi: "Credo che in tempi di disorientamento e di rifiuto del diverso, il modello sociale da cui ripartire sia quello trasversale di una reale sinergia tra chi cresce ed educa i nostri giovani. In questo contesto, lo sport e le nostre società sportive da 75 anni combattono la sfida educativa più difficile: quella cioè di rendere “normale” la cultura dell'incontro".

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