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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Milano

La Scuola Svizzera di Milano 'sconsigliata' ai disabili: il suo diploma vale come quello italiano

L'istituto, che si definisce impegnativo e multilingue (nonché senza ascensori), è al centro delle polemiche. Rilascia un diploma di maturità equiparato a quello italiano. Il sottosegretario all'Istruzione: "Nessun riconoscimento alle scuole che escludono i disabili"

In Italia c'è una scuola privata non paritaria ma il cui diploma di maturità è equiparato a quello italiano e consente l’accesso a tutte le università svizzere italiane, europee e del mondo, che nel 2017 sconsiglia la frequenza dei suoi corsi a studenti affetti da disturbi dell'apprendimento.

E' la Scuola Svizzera di Milano. Il punto 2.5 del suo regolamento afferma di non gradire la presenza di alunni disabili e con disturbi dell'apprendimento. "Essendo la Scuola svizzera impegnativa e multilingue, non è ottimale per studenti affetti da disturbi dell’apprendimento, quali: dislessia, discalculia, Adhs, sindrome di Asperger, autismo e disturbi comportamentali", dice il regolamento, specificando inoltre che "in caso di disturbi di lieve entità gli allievi vengono aiutati dagli insegnanti a progredire, ma devono comunque soddisfare i regolari criteri di promozione" e che "eventuali costi derivanti da conseguenti lezioni supplementari, assistenza psicologica o fisica saranno a carico dei genitori". Non solo: "essendo l’edificio su più livelli, privo di ascensore, non è altresì una Scuola adatta a studenti con gravi handicap motori".

Sul suo sito, però, l'istituto si vanta di mettere al centro "lo sviluppo della capacità degli studenti" e di rivolgere "particolare attenzione al costante ammodernamento della struttura e degli arredi ed ha, come priorità, l’impiego di moderne tecnologie di informazione e comunicazione". 

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La questione dell'"inclusione"

"È giusto che siano 'equiparate' scuole che includono e accolgono tutti con quelle che hanno regolamenti che dichiarano: 'non è ottimale per studenti affetti da disturbi dell'apprendimento'. Penso di no", si chiede su Facebook il sottosegretario all'Istruzione Gabriele Toccafondi. La sua è soltanto l'ultima voce istituzionale - in ordine di tempo - che si è levata contro il regolamento non inclusivo dell'istituto svizzero.

Prima di lui erano intervenuti anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala (che su Facebook ha definito "inaccettabile" il regolamento, perché "è l'esatto contrario del modello inclusivo di scuola che è previsto in Italia"), e il ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli, che a Repubblica aveva annunciato "verifiche del caso" e l'intenzione di valutare "se ci sono i margini per un'azione legale nei confronti della Scuola svizzera di Milano". Critiche sono arrivate sia dal Pd sia da Forza Italia, nella persona di un ex studente della Scuola Svizzera, il capogruppo a Palazzo Marino Gianluca Comazzi, che sottolinea inoltre come sia assurdo che "a distanza di quasi trent'anni, l'edificio non sia stato ancora dotato di un'ascensore che permetta agli alunni con disabilità motorie di poter accedere ai piani superiori". Simona Malpezzi, responsabile dem per la Scuola, e Laura Coccia, deputata della commissione Istruzione, hanno poi dichiarato in una nota congiunta: "Il Pd nel biasimare questa scelta, ribadisce il suo impegno per promuovere l’inclusione di tutti i bambini e ragazzi senza alcuna distinzione. Ci dispiace per gli studenti della scuola svizzera che non potranno beneficiare della straordinaria esperienza di una scuola accogliente e inclusiva. Il successo formativo degli studenti dipende anche dalla capacità di comprendere le diversità e interagire con tutti, nessuno escluso".

L'Italia, pioniera dell'integrazione

Il controverso regolamento è stato approvato dal consiglio della scuola lo scorso 16 maggio, ben quarantasei anni dopo l'approvazione in Italia della legge 118 del 1971. L'articolo 28 di tale legge sancisce che "l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nella predette classi normali". Pioniera dell'integrazione scolastica degli alunni con situazioni di handicap in Europa, con questo articolo l'Italia ha dato il via a una lunga serie di provvedimenti che si sono susseguiti nel corso degli anni, culminati nell'abolizione delle classi differenziali con la legge 517 del 1977 (che prevede inoltre l'intregrazione nelle classi comuni e la presenza dell'insegnante di sostegno), che a sua volta ha recepito come fondamentale la relazione conclusiva della Commissione ministeriale presieduta nel 1975 dall'allora senatrice Franca Falcucci (poi ministro della Pubblica Istruzione):

Il superamento di qualsiasi forma di emarginazione degli handicappati passa attraverso un nuovo modo di concepire e di attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino ed ogni adolescente per favorirne lo sviluppo personale, precisando peraltro che la frequenza di scuole comuni da parte di bambini handicappati non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni. Lo stesso criterio di valutazione dell’esito scolastico, deve perciò fare riferimento al grado di maturazione raggiunto dall’alunno sia globalmente sia a livello degli apprendimenti realizzati, superando il concetto rigido del voto o della pagella

Nelle classi differenziate finivano non solo gli aluni con ritardi o problemi, ma anche quelli che "davano" problemi o quelli che provenivano da situazioni socio-familiari disagiate. Un'idea di scuola "separata" che l'Italia si è lasciata alle spalle prima di altri, fino a considerare ogni diversità come un valore e soprattutto l'istruzione come tramite per l'integrazione sociale delle persone con disabilità, grazie alla legge quadro 104 del 1992, che ha riordinato tutti i vari interventi dei vent'anni precedenti.

Berna si sgancia

Il presidente dell'Istituto, Luca Corabi de Marchi, ha replicato alle polemiche sostenendo che la Scuola Svizzera di Milano "accoglie tutti coloro che vogliano seguire il nostro percorso formativo a condizione che la loro conoscenza della lingua tedesca sia sufficiente" e che "tra i nostri allievi ci sono sempre stati, e ci sono anche attualmente, studenti autistici, dislessici o affetti da discalculia in percentuali del tutto assimilabili a quelle delle scuole pubbliche". Una replica che però non sembra essere bastata a Daniel Menna, portavoce dell'Ufficio federale della cultura (UFC), competente per il riconoscimento delle scuole svizzere all'estero. Ai microfoni della RSI, Menna ha definito il regolamento "un'iniziativa dell'istituto e non una direttiva venuta dalla Confederazione". L'UFC, ha detto Menna, "lo ha scoperto attraverso i media e proprio non lo può sostenere", annunciando che l'ente intende approfondire la questione e, una volta verificare le informazioni, "la direttiva dovrà essere tolta". 

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