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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Reggio Calabria

Sfruttavano migranti facendoli lavorare in nero e prostituire: sgominata rete di caporali

Coinvolti cittadini extracomunitari di origine africana che sfruttavano connazionali in concorso con titolari di aziende agricole e cooperative che operano nel settore della raccolta e della vendita di agrumi nella Piana di Gioia Tauro

Extracomunitari sfruttati nei campi come braccianti agricoli, le donne costrette a prostituirsi. Una vasta operazione dei carabinieri di Reggio Calabria, coordinata dalla Procura di Palmi, ha sgominato una rete cittadini di origine centrafricana all'epoca dei fatti domiciliati nella baraccopoli di San Ferdinando e del Comune di Rosarno, in concorso con i titolari di aziende agricole e cooperative che operano nel settore della raccolta e della vendita di agrumi nella Piana di Gioia Tauro. Ventinove persone sono state accusate, a vario titolo, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Le indagini dopo la denuncia di un bracciante

Le indagini sono scattate in seguito alla denuncia di un bracciante agricolo senegalese nei confronti un caporale ghanese. Da lì, attraverso servizi di pedinamento, osservazione, riprese video, testimonianze di persone informate sui fatti e intercettazioni, è stato possibile far luce sull'esistenza della rete di caporali. "È un'operazione importante che ha messo la parola fine al terribile fenomeno dello sfruttamento", ha sottolineato il procuratore di Palmi Ottavio Sferlazza che all'esito delle indagini ha registrato "l'assenza di scelte politiche che dovrebbero risolvere e prevenire questi fenomeni assicurando a questa gente condizioni di vita dignitose che potrebbero esporli a minori pericoli".

Così venivano sfruttati i lavoratori

Diciotto i "caporali" fermati e undici gli imprenditori agricoli coinvolti. Secondo l'accusa, durante l'intesa stagiona agrumicola 2018-2019, in modo sistematico hanno "reclutato manodopera straniera anche irregolare, provvedendo a trasportare gli operai presso le aziende agricole locali che operano nel settore della raccolta e vendita di agrumi e, con la compiacenza dei titolari delle imprese (tre delle quali destinatarie di misura ablativa reale), ad impiegarli, approfittando del loro stato di bisogno, in condizioni di evidente sfruttamento".

I braccianti erano costretti a lavorare in condizioni precari, obbligati a raccogliere mandarini e arance sette giorni su sette, festivi compresi, per 10-12 ore consecutive, con pause contingentate e sprovvisti di qualsiasi dispositivo di protezione individuali e di tutela della salute. Ciascun lavoratore riceveva una paga giornaliera in relazione al numero di cassette di frutta raccolte (circa un euro a cassetta) e comunque non superiore a somme oscillanti tra i due e i tre euro per ogni ora di lavoro. All’interno dei furgoni, omologati per il trasporto di non più di 9 passeggeri compreso il conducente, i "caporali" riuscivano a caricare sino a 15 persone in un’unica soluzione, costringendo così i braccianti agricoli, già provati dalle scarse condizioni di vita all’interno della baraccopoli, a trovare posto su sedili di fortuna realizzati con tavole in legno, secchi di plastica, cassette per la raccolta e pneumatici usati di autoveicoli.

La complessità delle indagini ha permesso di documentare alcuni episodi di detenzione ai fini di spaccio di marijuana e di condotte di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione da parte di un cittadino liberiano, destinatario di provvedimento restrittivo, che si occupava del trasporto di donne, di nazionalità nigeriana, da Rosarno verso la baraccopoli di San Ferdinando ed il campo containers di Rosarno dove erano costrette a prostituirsi e a cedere successivamente parte del ricavato al loro sfruttatore.

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