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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Stefano Leo, il giudice: "Chiedo scusa alla famiglia, ma non è colpa solo dei magistrati"

I tempi tecnici della giustizia e la mancanza di personale sono i due fattori che potrebbero aver inciso sui ritardi nella carcerazione di Said Mechaquat. Il presidente della Corte d'Appello ci mette la faccia: "Ho un figlio anch'io, ma cercate di capire. Gli ispettori vengano a vedere in che condizioni siamo"

Perché nonostante la condanna in primo grado a un anno e sei mesi l’assassino di Stefano Leo era ancora libero? Quella sentenza, pronunciata a giugno 2016, era diventata definitiva già a maggio del 2018. Eppure 9 mesi dopo Said Mechaquat non era stato ancora condotto in cella. Qualcuno ha parlato di "errore burocratico". Il ricorso in Appello era stato dichiararo inammissibile dai giudici, ma per qualche ragione gli atti non sono mai stati trasmessi al pm.

Intevitabili le polemiche con la Corte di Appello di Torino finita nell’occhio del ciclone. A quanto si apprende  l'ispettorato del ministero della Giustizia ha avviato degli accertamenti per fare luce sulla vicenda. Il presidente della Corte, Edoardo Barelli, oggi ha deciso di metterci la faccia. "Come rappresentante dello Stato mi sento di chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo" ha detto il magistrato in conferenza stampa.

"Vengano gli ispettori a vedere in che condizioni siamo"

"Sono qui a prendermi i pesci in faccia come capo dell’ufficio. Abbiamo bisogno di cancellieri e assistenti, questo sì. Noi siamo qui prima ancora che come magistrati come esseri umani e credetemi che in questo momento il mio pensiero va ai parenti della vittima nei cui confronti sento di dover dare le mie condoglianze e partecipare al cordoglio per quello che è avvenuto". "La famiglia di Leo ha chiesto di incontrarmi - ha aggiunto il presidente della Corte -. Ho detto sì. Ho anche io un figlio e fosse successa una cosa del genere anche io sarei mortificato. Ma cercate di capire anche oltre. Gli ispettori vengano a vedere in che condizioni siamo". 

I tempi tecnici della giustizia

Barelli ha ricostruito la vicenda nei minimi dettagli. "La persona indagata dell'omicidio - ha spiegato - ha commesso maltrattamenti in famiglia nel 2013, la sentenza di primo grado che lo condanna è del 20 giugno 2016, a tre anni di distanza dai fatti. E stato proposto appello, come sapete la corte d'Appello è in grave ritardo, però in questo caso ha emesso un'ordinanza di inammissibilità il 18 aprile del 2018, cioè entro i due anni previsti dalla legge Pinto. Una volta che il giudice ha emesso il provvedimento, sia sentenza o ordinanza, il provvedimento passa alla cancelleria e può essere impugnato in cassazione. Se come in questo non è stato fatto, la cancelleria mette un timbro di irrevocabilità dopodiché c'è fase esecutiva che spetta alla procura".

Stefano Leo, il giudice: "Non c'è garanzia che il 23 febbraio Said sarebbe stato in carcere"

Il magistrato ha sottolineato che "la sentenza è divenuta irrevocabile l’8 maggio 2018. Se il 9 maggio il cancelliere avesse immediatamente trasmesso l’estratto e ammesso che la Procura avesse eseguito la sentenza non c’è alcuna garanzia che il 23 febbraio Said sarebbe stato in carcere. Per cui l'equazione che ho letto sui giornali mancava solo una firma bastava trasmettere questo o quest'altro perché ciò non succedesse, non è così".

Botte e sputi alla compagna, perché il killer era stato condannato

Insomma, anche se tutto avesse funzionato tutto a dovere, non è detto che Mechaquat fosse finito in cella prima di quel fatidico 23 febbraio. Anche perché "in sede esecutiva il condannato ha 45 giorni di beneficio" ogni sei mesi. "E comunque - ha ricordato Barelli - poteva accedere a misure alternative" al carcere, in quanto era stato condannato ad una pena inferiore ai tre anni.

"La Corte d'Appello non è corresponsabile del fatto"

Per il magistrato dunque "non è corretto dire che Said Mechaquat sarebbe stato in carcere il 23 febbraio 2019 se la precedente condanna fosse stata eseguita. Poteva non essere in carcere, quel giorno. La Corte d'Appello non è corresponsabile del fatto, questo va detto". 

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"La mancanza di personale è stata una scriminante"

"Capisco che è difficile da spiegare - ha aggiunto Barelli -. La.mancanza di personale in corte d’appello è una scriminante". Una causa oggettiva, insomma. "Siamo stati in seria difficoltà. Lo sapete tutti. Ho cercato di rendere più efficiente la.macchina sui procedimenti pendenti che sono diminuiti. Se si lavora di più aumenta il lavoro di cancelleria che per legge da priorità all’esecuzione delle sentenze superiori a tre anni". 

Perché l’assassino di Stefano Leo non era in carcere

Insomma, da un lato i tempi tecnici della giustizia che sono quelli che sono. Dall’altro la mancanza di personale, altro fattore che potrebbe aver inciso nella mancata trasmissione degli atti. 

Infine, in via ipotetica, anche il garantismo delle nostre leggi (non sta a noi giudicare se giuste o meno) avrebbe potuto giocare un ruolo nella vicenda. La legislazione in materia prevede infatti la possibilità - previa decisione in tal senso del giudice: non si tratta di un automatismo - di accedere a misure alternative al carcere se la pena detentiva inflitta non supera i tre anni. Nel caso di Said Mechaquat però non era stato ancora disposto l’ordine di carcerazione, dunque si tratta di impedimento solo potenziale. 

Omicidio Stefano Leo: "Non è tutta colpa dei magistrati"

Per Barelli comunque "non si può scrivere la colpa è solo dei magistrati, stiamo facendo il possibile per ridurre gli arrestati. Non è neanche giusto distinguere tra magistrati e cancelleria, la massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno. Quando c'è un problema ci si mette intorno a un tavolo perché questo non accada più e anche questa sarà l'occasione perché una simile vicenda non capiti più, ma con le attuali forze non posso garantire che questo non accada e lo dico con il cuore infranto".

(Nella foto in alto il 27enne che ha ucciso Stefano Leo, Ansa)

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