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Giovedì, 25 Aprile 2024
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"La crisi di mezza età arriva a 42 anni": ecco perché

Secondo le ultime ricerche, a scatenare un momento depressivo superata la soglia degli 'anta', non sono i soldi o la vecchiaia, ma il crollo delle aspettative e la perdita del lavoro

La chiamano "crisi di mezz'età" quell'impasse, sordida ed inevitabile, che arriva una volta superata la soglia degli 'anta' e che, lungi dal segnare un traguardo meramente anagrafico, costituisce un passaggio indefettibile per accettare di invecchiare.

A quanti sostengono - chi per scaramanzia, chi per la strizza di esserci caduti dentro con tutte le scarpe - che, in realtà, non esista e sia solo uno dei tanti cliché divulgati dalla vox populi, toccherà ravvedersi, perché anche psicologi ed economisti si sono impegnati per studiarla con l'obiettivo di spiegare come, perché, e con quali conseguenze, in quella "selva oscura" di dantesca memoria si perdano in tanti, per uscirne poi, finalmente rassegnati all'incedere del tempo.

I numeri sono stati pubblicati da Terence C. Cheng, Nattavudh Powdthavee e Andrew J. Oswald - Università di Melbourne, London School of Economics, Università di Walwick e Istituto per lo studio del lavoro (Iza) di Bonn -, pregiandosi di aver dato "la prima dimostrazione su molte nazioni dell'esistenza di ragioni scientifiche per credere al nadir umano o crisi di mezza età" basata sull'analisi di decine di migliaia di questionari sul benessere, raccolti tra persone tra i venti e i settanta anni in Inghilterra, Australia e Germania. 

I risultati confermerebbero quello che viene descritto da anni: nel tempo, la felicità ha un andamento a forma di U, cioè, si può essere molto felici nell'infanzia e nella vecchiaia, quasi felici nella prima età adulta e all'inizio della terza età, ma si è destinati a una certa sofferenza nella vita di mezzo. 
La crisi di mezza età, dunque, è il punto più basso della U e per Cheng, Powdthavee e Oswald si posizionerebbe tra i quaranta e i quarantadue anni, suffragando quanto osservato nel 2010 da David Blanchflower del Dartmouth College, che, sempre attraverso questionari, aveva descritto una variabilità tra i trentacinque anni degli svizzeri e i sessantadue degli ucraini, con una media sui quarantasei.

Ma l'età esatta, tuttavia, non cambia la ragione della questione, basati come sono sull'aleatorietà dei dati raccolti con questionari, e per di più su un tema che dipende anche da fattori come la salute dei genitori, il rapporto coi figli, la stabilità, desiderata o meno, del rapporto di coppia. 
"Il problema principale di queste analisi",  spiega Luigino Bruni, professore di economia politica all'Università Lumsa di Roma, "è che sono costruite su variabili (qui l'età e la felicità) da cui se ne devono sottrarre altre: la salute, il reddito, la depressione... Mentre nella vita reale queste ci sono eccome". Sui grandi numeri, però, permettono di vedere che l'invecchiamento, di per sé, non è un elemento di tristezza.

Ma cos'è che, a un certo punto, fa sprofondare verso questa benedetta 'crisi di mezza età'? "Il crollo delle aspettative", prosegue Bruni. "La felicità è il rapporto tra le aspettative e i mezzi per realizzarle: a trent'anni uno può essere convinto di poter fare cose grandiose, ma quando verso i quaranta si rende conto che ormai non le farà più, le aspettative crollano. E così la felicità". Poi ci si rassegna: "Subentra il principio di realtà: comincia la vita adulta, quella vera". Ed ecco la curva a U. 

Tutto questo è più evidente nei maschi che nelle femmine, probabilmente perché sono ancora i maschi a sentire di più le ambizioni professionali e "sentirsi competente nel proprio lavoro è importante", incalza Bruni, motivo per cui non si può nemmeno trascurare l'attuale depressione economica.

Insomma, qualunque siano i fattori compromessi, psicologici, sociali e biologici, pare proprio che scampare al 'dramma' di questo periodo sia impossibile, motivo per cui occorre solo accettarlo con stoica, ma gagliarda pazienza, ed essere pronti ad diventare buoni.... come il miglior vino d'annata. 

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