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Martedì, 19 Marzo 2024
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Cgia: "L'Italia ha venduto 5 miliardi in armi in Africa e Medio Oriente"

Algeria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi i principali partner commerciali. Le industrie del settore brillano in Borsa e intanto il governo italiano promette di investire in sicurezza

Prima gli attentati a Parigi, poi la tensione tra Erdogan e Putin dopo che un jet russo è stato abbattuto al confine con la Turchia. Tutti fatti che preoccupano gli equilibri geopolitici internazionali ma non le Borse. Mentre Francia e Belgio mettono in atto nuove misure per la sicurezza (non calcolate nei parametri della spending review) l'Italia si prepara al Giubileo e Renzi promette un "piano contro il terrore" per la tutela di tutti i cittadini. 

Tutti fattori che fanno letteralemente volare in Borsa le grandi multinazionali delle armi: in prima linea c'è l'italiana Finmeccanica, che a ogni promessa di "maggiore sicurezza" aumenta le proprie quotazioni. Piazza Affari ne esce in qualche modo rafforzata e, come in ogni "economia di guerra" che si rispetti, il mercato (dopo anni di crisi e di segnali negativi) inizia davvero a sentire una ripresa. Questa volta a fotografare la situazione è la Cgia di Mestre che calcola quanto effettivamente il nostro Paese ha fatturato e dove sono andate a finire le armi vendute. 

Secondo l'associazione dei piccoli imprenditori l'Italia e Finmeccanica sono già da qualche anno protagoniste di questo meccanismo: tra il 2010 e il 2014 sono state autorizzate esportazioni di armi in Africa settentrionale e in Medio Oriente per un totale di 4,8 miliardi di euro. Queste sono le aree geografiche dove si trovano i nostri maggior partner: Algeria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. 

I dati di Cgia arrivano dall'analisi delle relazioni annuali di Palazzo Chigi sull'export di armamenti: "Nei cinque anni presi in esame dalla Cgia le industrie italiane produttrici di armi sono state destinatarie di autorizzazioni definitive alle esportazioni per 17,47 miliardi di euro: di questi, 8,58 miliardi sono stati realizzati in Europa (pari al 49,2 per cento del totale), 4,85 miliardi in Africa settentrionale e nel vicino Medio Oriente (27,8 per cento del totale), 1,68 miliardi in Asia (9,6 per cento del totale), 1,22 miliardi in America settentrionale (7 per cento del totale), 670 milioni nell’America centro-meridionale (3,8 per cento del totale), 267,4 milioni in Oceania (1,5 per cento del totale) e 188,6 miliardi in Africa centro meridionale (1,1 per cento del totale)". Insomma tutto regolare: ad autorizzare quelle vendite è stato proprio il Parlamento e quindi per le nostre istituzioni tutto ciò non è una novità. 

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su Relazioni della Presidenza del Consiglio sulle operazioni per esportazioni di armamenti (ai sensi della Legge 185/1990)

Il nostro principale partner commerciale è l’Algeria: tra il 2010 e il 2014  abbiamo "ceduto" armi per 1,37 miliardi di euro. Seguono l’Arabia Saudita per un importo di 1,30 miliardi di euro e gli Emirati Arabi Uniti per un valore di 1,06 miliardi di euro. Le vendite in questi tre Paesi costituiscono il 77,2% del totale delle esportazioni autorizzate in quest'area.

Ma cosa vendiamo in questi Paesi esattamente? Diverse categorie di armamenti: munizioni, bombe, siluri, missili, apparecchiature per la direzione del tiro, veicoli terrestri, agenti tossici, combustibili militari ed esplosivi, navi da guerra, corazzate e software studiati per il settore. I maggiori settori delle nostre esportazioni sono stati l'aeronautica, l'elicotteristica, l'elettronica per la difesa e i sistemi d'arma (ovvero missili e artiglieria). Le aziende che hanno fatto i maggiori affari sono AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Selex, Ge Avio, Elettronica, Oto Melara, Piaggio Aero, Beretta, Whitehead, Iveco. Tutte del gruppo Finmeccanica. 

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su Relazioni della Presidenza del Consiglio sulle operazioni per esportazioni di armamenti (ai sensi della Legge 185/1990)

"Il problema non è il traffico illegale di armi, quanto il commercio legale: è come se andassimo a fomentare sempre di più aree già piene di conflitti, a buttare benzina sul fuoco. Il rischio è quello di 'perdere' le armi: lo stesso Pentagono ha ammesso di non sapere che fine hanno fatto mezzo miliardo di armamenti forniti allo Yemen, dove è in corso un conflitto sanguionoso. Insomma le vendiamo ma poi non sappiamo in che mani finiscono" spiega Francesco Vignarca della Rete Disamo ai microfoni di La7. 

Il dato inquietante è che questo meccanismo, in qualche modo, avrebbe anche armarto lo Stato Islamico: "L'Isis è riuscito negli ultimi anni a recuperare moltissime armi che erano state fornite in particolare dagli Stati Uniti all'esercito iracheno e a riutilizzarle. Se si vendono armi alle potenze della regione si può anche sostenere il Califfato" conclude Vignarca. 

Ma gli affari di queste multinazionali sembra che continueranno ad andare bene: Renzi ha già annunciato che la risposta dell'Italia al terrore si tradurrà in un cambio in corsa della legge di stabilità dal peso di due miliardi di euro. Uno andrà alla sicurezza. E poco prima il Parlmento ha approvato il rifinanziamento delle nostre missioni internazionali

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