rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Economia Italia

Cala il debito pubblico, aumentano gli incassi delle tasse

Conti sostanzialmente positivi? Sì, o meglio in miglioramento. Poiché sui conti pubblici italiani pesa, oltre ad spesa pubblica fuori controllo, una evasione fiscale che toglie ogni anno miliardi di euro dal conto dei possibili investimenti

A giugno il debito delle amministrazioni pubbliche è diminuito di 4,1 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 2.323,3 miliardi. Lo comunica la Banca d'Italia, spiegando che la diminuzione è dovuta alla riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro (9,2 miliardi, a 48,4) che ha più che compensato il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (3,8 miliardi); gli scarti e i premi all'emissione e al rimborso, la rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione e la variazione dei tassi di cambio hanno complessivamente incrementato il debito di 1,3 miliardi.

Pensano ancora i "costi" delle amministrazioni locali. Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, spiega Bankitalia nel suo report, il debito delle Amministrazioni centrali è diminuito di 4,5 miliardi e quello delle Amministrazioni locali è aumentato di 0,4 miliardi. Conti in ordine per l'inps: secondo i dati di Bankitalia il debito degli Enti di previdenza è rimasto pressoché invariato.

Fisco, aumentano le entrate tributarie

A giugno le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 31,9 miliardi, in aumento dello 0,9% rispetto allo stesso mese del 2017. Secondo i dati della Banca d'Italia nei primi sei mesi del 2018 le entrate tributarie sono state pari a 187,1 miliardi di euro, in aumento dello 0,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Il ministero dell'Economia nel rapporto sulle entrate di gennaio-giugno riporta inoltre come nei primi sei mesi del 2018 siano stati versati contributi per un totale di 111,4 miliardi, in aumento di 4,2 miliardi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Per l'Inps un gettito da 102.663 milioni di euro in crescita sia da settore privato (+3,8 per cento) sia dal settore pubblico (+3,5 per cento) spiega il ministero in una nota in cui mette in nota come le entrate contributive degli enti privatizzati risultano pari a 3.896 milioni di euro (+55 milioni di euro, pari a +1,4 per cento).

Conti sostanzialmente positivi? Sì, o meglio in miglioramento. Poiché - come noto - sui conti pubblici italiani pesa, oltre ad spesa della pubblica amministrazione fuori controllo, una evasione fiscale che toglie ogni anno miliardi di euro dal conto dei possibili investimenti. Lo ha spiegato in una recente nota anche l'osservatorio dei conti pubblici diretto dall'economista Carlo Cottarelli: il rientro anche solo del 10% delle tasse non pagate porterebbe l'Italia sullo stesso piano di efficenza della Germania. 

Il peso dell'evasione fiscale sul debito pubblico

L’evasione fiscale ha da decenni afflitto l’economia italiana in maniera più acuta che nella maggior parte dei paesi dell’area dell’euro, con pesanti conseguenze sia per il bilancio dello stato, sia per la pressione fiscale sostenuta da chi paga le tasse.

L’ultima Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva prodotta dalla Commissione guidata da Enrico Giovannini mell'ottobre 2017 stimava che, nella media del triennio 2012-2014, i mancati pagamenti di tasse e contributi fossero ammontati a 108 miliardi di euro l’anno. Questa stima però copre solo circa tre quarti delle entrate pubbliche, non tenendo conto di alcune voci di entrata piuttosto rilevanti (i contributi per il lavoro autonomo e altre tasse); essa quindi rappresenta una sottostima della perdita effettiva. Stime condotte dal team dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani indicano che l’importo non pagato potrebbe ammontare ad almeno 130 miliardi (8 per cento del Pil) per il 2014.

L’evasione fiscale era anche più elevata in passato, almeno a giudicare dalle serie storiche dell’evasione sull’IVA. Ad esempio, l’evasione dell’IVA era secondo la Banca d’Italia intorno al 35-40 per cento negli anni ‘80 e ’90, per poi ridursi al di sotto del 30 per cento nel corso dello scorso decennio. Dal 2010 non c’è però stato più un sostanziale miglioramento, anche se stime preliminari contenute nel rapporto Giovannini suggeriscono una riduzione dal 27,6 per cento nel 2014 al 26,4 per cento nel 2015 per quel che riguarda la propensione all’evasione dell’IVA. Tale riduzione, se confermata, potrebbe riflettere, in aggiunta alle misure anti evasione prese a partire da quell’anno (split payment e reverse charge) anche il generale miglioramento delle condizioni economiche (studi econometrici suggeriscono che l’evasione abbia anche una componente ciclica). Il rapporto Giovannini indica che nel 2015 si sarebbe verificata anche una riduzione nell’evasione per altre entrate, seppur in misura minore di quanto osservato per l’IVA.

Quanto ha inciso l’evasione fiscale sull’evoluzione dei conti pubblici? Eliminare completamente l’evasione fiscale è praticamente impossibile. Anche una parziale riduzione avrebbe avuto però effetti molto importanti per la finanza pubblica italiana. Abbiamo visto che le minori entrate derivanti l’evasione fiscale ammontavano a circa il 7 per cento del Pil nel periodo 2012-2014 (dell’8 per cento se teniamo conto delle mancate entrate su IRPEF da lavoro autonomo e altre tasse residuali). Le stime di evasione dell’IVA suggeriscono che gli importi sarebbero potuti essere anche più elevati nei decenni precedenti. Conseguentemente, se l’evasione fiscale fosse stata anche solo di un ottavo più bassa di quella effettiva, le entrate pubbliche sarebbero state di almeno 1 punto percentuale di Pil più elevate di quelle effettive. Cosa sarebbe successo al debito pubblico se queste entrate addizionali fossero state risparmiate?

Una semplice simulazione (che ipotizza l’invarianza degli altri parametri macroeconomici) mostra che entrate aggiuntive di 1 punto percentuale di Pil all’anno a partire dal 1980 avrebbero comportato che il rapporto tra debito pubblico e Pil sarebbe stato a fine 2017 intorno al 70 per cento, contro un valore stimato del 131,6 per cento.

Questo risultato riflette due fattori principali: primo, l’avanzo primario (ossia la differenza tra il totale delle entrate e le spese al netto degli interessi) sarebbe stato di un punto percentuale più elevato in ogni anno della simulazione; secondo, la minore accumulazione di debito avrebbe comportato una minore spesa per interessi sul debito.

In realtà, la dinamica del debito avrebbe potuto essere anche più favorevole. Questo perché un deficit e un debito più contenuti avrebbero permesso all’Italia di presentarsi meglio sui mercati, riducendo il tasso di interesse che l’Italia avrebbe pagato rispetto a quello storico.

Inoltre, l’Italia sarebbe stata meno esposta agli attacchi speculativi che tanto hanno danneggiato il Paese nel 1992 e nel 2011-12. Saremmo arrivati al 1992 con un debito di circa l’82 per cento (rispetto al realizzato 101 per cento), e al 2008 con un debito di poco superiore al 60 per cento e del 6 per cento più basso di quello di paesi, come la Francia, solo marginalmente toccati dagli attacchi speculativi.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Cala il debito pubblico, aumentano gli incassi delle tasse

Today è in caricamento