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Venerdì, 29 Marzo 2024
Economia Italia

L'industria che non c'è più: produzione industriale mai così male da 4 anni

L'Italia corre verso la recessione. L'Istat certifica il crollo della produzione industriale: -2.6% in un anno, -1.6% in un mese. Conte: "Ragionevole evoluzione del trend economico". Renzi attacca: "Inizia a piovere"

La produzione industriale ha registrato a novembre 2018 una marcata diminuzione sia su base congiunturale sia su base annua. Una tendenza negativa che conferma la complessiva debolezza dei livelli di attività industriale nel corso del 2018.

Secondo gli ultimi dati pubblicati dall'Istat la produzione industriale italiana è scesa del 2,6% rispetto allo stesso mese del 2017. 

Industria, crolla la produzione industriale

"Temevo un dato negativo- spiega il premier Giuseppe Conte - era difficile che per l'Italia non fosse negativo. Ma è importante aver anticipato prima e compreso che sarebbe stata questa la ragionevole evoluzione del trend economico e, per questo, ancora più importante è intervenire con la nostra manovra, nel segno della crescita e dello sviluppo sociale".

L'ex premier Matteo Renzi in una diretta Facebook attacca il Governo: "Se sta iniziando a piovere prendi l'ombrello. Questi non si stanno minimamente preoccupando di ciò che avviene".

Il dato diffuso dall'Istat mostra anche una diminuzione della produzione industriale dell'1,6% rispetto a ottobre. L'indice destagionalizzato mensile mostra un aumento congiunturale solo nel comparto dell'energia (+1,0%); variazioni negative registrano, invece, i beni intermedi (-2,4%), i beni strumentali (-1,7%) e i beni di consumo (-0,9%). 

Istat: produzione industriale Novembre 2018

istat produzione industriale 2018-2

Le maggiori flessioni si rilevano nell'industria del legno, della carta e stampa (-10,4%), nell'attività estrattiva (-9,7%) e nella fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-6,7%).

Industria, chi cala e chi cresce in Italia

Nella media dei primi undici mesi dell'anno la produzione è cresciuta dell'1,2% rispetto all'anno precedente. Su base annua gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano una moderata crescita solo per i beni di consumo (+0,7%). I settori di attività economica con variazioni annue positive sono le industrie alimentari, bevande e tabacco (+2,7%), la produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+1,3%) e le altre industrie manifatturiere, riparazione e installazione di macchine ed apparecchiature (+1,1%).

istat produzione industriale 2018 settori-2

Diminuzioni rilevanti si osservano, invece, per i beni intermedi (-5,3%), per l'energia (-4,2%) e, in misura più contenuta, per i beni strumentali (-2,0%).

In controtendenza rispetto al crollo generale la produzione alimentare con un balzo del 2,7% grazie alle festività di Natale: "Le spese a tavola rappresentano ancora la principale componente del budget delle famiglie" sottolinea Coldiretti osservando come l'agroalimentare con regali enogastronomici, pranzi e cenoni è stata quest'anno la voce più pesante del budget che le famiglie italiane hanno destinato alle feste di fine anno, con una spesa complessiva per imbandire le tavole del Natale e del Capodanno di 4,5 miliardi di euro.

Stagnazione, i rischi che corre l'Italia

"Tira aria di stagnazione" spiega Confesercenti secondo le cui stime è lecito aspettarsi una caduta congiunturale del Pil dello 0,1%, equivalente a quella registrata nel periodo luglio-settembre.

"Il quarto trimestre del 2018 dovrebbe segnare la seconda contrazione consecutiva del Prodotto interno lordo: l'economia italiana entra dunque nel 2019 in condizioni di stagnazione. La priorità deve essere evitare che si trasformi in una recessione conclamata, la terza in meno di un decennio".

Per l'associazione degli imprenditori del commercio i dati Istat evidenziano un progressivo indebolimento dell'economia italiana. Il tasso di disoccupazione è risalito di quasi mezzo punto dopo l'estate, mentre tra gennaio e dicembre, gli indici di fiducia delle famiglie e delle imprese sono scesi, rispettivamente, di 4.3 e 5.6 punti.

"Un deficit di fiducia che ha falcidiato i consumi: la propensione delle famiglie è diminuita di mezzo punto, e l'indicatore delle vendite al dettaglio del commercio, nel 2018, si chiuderà con una contrazione dello 0,2%, la prima da tre anni a questa parte".

In queste condizioni gli obiettivi di crescita fissati per il 2019 difficilmente saranno conseguiti. Secondo Confesercenti in particolare, per i consumi delle famiglie si può stimare un incremento pari alla metà di quello previsto nei documenti programmatici (0,8%). 

Che cos'è la recessione?

L'economia di un Paese entra in recessione quando si certifica una marcia indietro dell'economia per sei mesi consecutivi. Si entra in ''recessione'' quando per due trimestri consecutivi si registra un Pil in calo rispetto al trimestre precedente. Quando la contrazione del Pil è limitata a un trimestre, gli economisti preferiscono parlare di ''crescita negativa''. 

Diversa è invece la stagnazione che si verifica quando il Pil mostra per un periodo abbastanza lungo, non solo dunque su un singolo trimestre, una situazione piatta, su livelli di crescita nulla o estremamente ridotta. 

Infine con depressione si indica un periodo in cui alla stagnazione dell'economia si sommano aumento della disoccupazione, bassi livelli di produzione, ribasso dei prezzi e diffuso pessimismo da parte degli operatori economici. La depressione può essere considerato uno stato cronico di recessione e si ritiene che tra le cause ci sia un calo della della richiesta di beni e servizi (domanda aggregata).

Manovra espansiva e teorie keynesiane

Per riavviare l'economia di un paese che si avvia sul sentiero della "crescita negativa" è prassi eguire alcune teorie suggeriti da economisti:

  • gli economisti "monetaristi" propendono per politiche monetarie espansive con riduzione dei tassi di interesse per stimolare l’offerta di denaro delle banche alle imprese stimolando investimenti e produzione;
  • gli economisti "keynesiani" sostengono un aumento della spesa pubblica per riavviare l’economia, ricorrendo tuttavia ad un aumento del debito pubblico
  • gli economisti "liberali" sostengono la riduzione delle imposte per incentivare gli investimenti da parte delle imprese.

Come si evince dallo schema una soluzione è tutt'altro che semplice anche tenendo conto dell’attuale sistema economico molto interdipendente tra i vari paesi.

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