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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Economia

Venti milioni di italiani non hanno i soldi per curarsi: "Qualcuno s'indebita, altri rinunciano"

La rielaborazione dei dati Istat e Censis è alla base del grido d'allarme di Confcooperative: "A 40 anni dalla sua istituzione il Servizio sanitario nazionale vive una crisi senza precedenti. La spesa sanitaria a carico dei privati nell'ultimo anno ha raggiunto i 40 miliardi di euro"

Tanti, sempre di più. Oltre 20 milioni gli italiani in difficoltà nel gestire la propria salute, tra chi rinuncia alle cure o si indebita per farlo. "Circa 12 milioni di italiani rinunciano a curarsi per difficoltà economiche; oltre 7 milioni si sono indebitati per farlo; 2,8 milioni hanno venduto casa per sostenere le spese per la salute. Sono invece 11 milioni quelli che si sono assicurati per la copertura sanitaria". Questi i numeri, una rielaborazione di dati Istat e Censis, evidenziati da Giuseppe Milanese, confermato alla presidenza di Confcooperative Sanità, all'assemblea nazionale in corso a Roma.

Salute e cure, 20 milioni gli italiani in difficoltà

"In questo quadro - ha detto Milanese - crediamo che la cooperazione sanitaria sia la via per ripensare il sistema. Una terza via, tra Stato e mercato, che si sostanzia in un network multiprofessionale e integrato di cooperative di medici, di operatori sanitari, di farmacisti e di mutue, che si propongono di affiancare il Ssn in chiave sussidiaria. Non semplici erogatrici di prestazioni, ma corresponsabili nella gestione dei servizi di fronte ai cittadini. Uno strumento prezioso per ridurre le disuguaglianze e contrastare la privatizzazione strisciante del Ssn".

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"A 40 anni dalla sua istituzione - ha ricordato il presidente di Confcooperative Sanità - il Servizio sanitario nazionale sta vivendo una crisi senza precedenti. Il risultato è l'intasamento delle strutture ospedaliere, dove un ricovero costa non meno di 700-800 euro al giorno. Con gli stessi soldi si potrebbero assistere, quotidianamente, 10 persone fuori dall'ospedale. E' sul territorio che va costruita la risposta: un sistema di assistenza primaria, una rete complessa e capillare in grado di prendere in carico direttamente nel cuore della comunità il bisogno assistenziale dei cittadini, concentrando sull'ospedale solo cure e interventi più importanti".

Cresce la domanda, ma calano medici e servizi

Cresce la domanda, ma calano medici e servizi: "Nei prossimi anni, in considerazione dell'andamento demografico - ha proseguito Milanese - avremo da un lato una crescente domanda di servizi, dall'altro un calo progressivo del numero di medici e infermieri impiegati nel Ssn. Solo nel 2015 si sono registrati 10 mila dipendenti in meno rispetto all'anno precedente. Tra il 2009 e il 2015 i posti persi sono stati complessivamente 40.364. Situazione destinata a peggiorare se si considera che l'età media è salita nel 2015 oltre i 53 anni per i medici e oltre i 47,4 per gli infermieri (dati ministero Economia 2016). Nei prossimi 5 anni, infatti, assisteremo a un esodo di 30 mila medici che determineranno un calo del 30% delle attività. Già oggi la penuria di anestesisti (ne mancano 4 mila) fa saltare un intervento su 3".

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Non è una questione di spesa, ha precisato Milanese, ma di riorganizzare i servizi in un Paese che cambia e che invecchia. "La spesa sanitaria a carico dei privati nell'ultimo anno ha raggiunto i 40 miliardi di euro (+10,3% tra il 2012 e il 2017). Quella pubblica, invece, rappresenta il 75% della spesa sanitaria corrente e negli stessi anni ha registrato una crescita media annua dello 0,5% rispetto a quella delle famiglie che è aumentata mediamente del 2% annuo".

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Famiglie a basso reddito in grossa difficoltà

"Una situazione - conclude - che grava maggiormente sulle famiglie a basso reddito: 7 su 10 dichiarano infatti che la spesa per la salute incide pesantemente sul bilancio familiare, mentre il 47% dichiara di tagliare altre spese per pagare la sanità. Il problema non è la spesa in sé. Non chiediamo di aumentarla, ma di ottimizzarla, considerando che su 26 miliardi di spesa per Ltc (long term care), appena 588 milioni vanno in servizi e il resto in trasferimenti monetari".

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