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Sabato, 20 Aprile 2024
Economia

La riforma del Mes preoccupa le banche ma è il debito pubblico il vero problema

L'Italia incassa il via libera della commissione Ue sulla manovra 2020, ma è un ok con riserva. Ancora una volta fari puntati sul debito pubblico. Problema annoso ma potenzialmente esplosivo con la riforma del Fondo Salva-Stati. Ora anche il presidente dell'Abi taglia corto: "Se passa riforma le banche non comprerebbero più titoli di Stato"

La Commissione europea ha dato il via libera definitivo alla manovra 2020, ma è un ok con riserva: secondo Bruxelles, infatti, il bilancio italiano "pone rischi di non rispetto del Patto di stabilità", sia sul fronte del deficit che su quello del debito pubblico

Come sottolinea il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis, la manovra potrebbe portare "a una deviazione significativa dal cammino verso il rispetto dell'obiettivo di medio termine". Ma è un problema che non riguarda solo l'Italia ma anche Belgio, Spagna e Francia che "non hanno usato a sufficienza le condizioni economiche favorevoli per mettere in ordine i loro conti pubblici".

Se Bruxelles se la prende anche con i Paesi più virtuosi (Germania e Olanda, ndr) incapaci di stimolare la crescita economica, la preoccupazione espressa dalla commissione risiede tutta nella capacità di rispondere agli shock economici e alle pressioni del mercato. Un problema che l'Italia - a causa del suo debito pubblico a tre cifre - conosce bene vista la limitata capacità di manovra. 

La polemica sulla riforma del Mes

Dombrovskis è anche tornato sulla polemica intorno alla riforma del meccanismo europeo di stabilità MES spiegando come la Commissione Europea sia pronta ad agevolare un accordo equilibrato per la firma che dovrebbe avvenire a dicembre in occasione dell'Eurogruppo o dell'Eurosummit.

In Italia intanto non si placano le polemiche dopo lo scontro politico che ha visto il premier Conte al centro di un fuoco di fila che ha (ri)unito Lega e Movimento 5 stelle. Una nuova miccia è stata accesa da Antonio Patuelli, presidente dell'associazione delle banche italiane che ha tracciato uno scenario preoccupante.

"Se la riforma del Mes passasse senza modifiche alla bozza di accordo (consultabile sul sito del Consiglio Ue) finora sul tavolo delle cancellerie dell'area euro le Banche non comprerebbero più titoli di Stato italiani".  

"Come investitore - continua Patuelli  incalzato dai cronisti - il mio problema è vedere che fa la Repubblica italiana per tutelare il debito pubblico italiano, visto che la maggior parte è sottoscritta da soggetti nazionali...".

E qui il re è nudo. Anni di politiche tutt'altro che accorte hanno creato un debito pubblico monstre la cui sostenibilità è per larga parte garantita dal risparmio degli italiani. Il tema esplosivo riguarda proprio le garanzie che il nostro paese fornisce a chi compra titoli di Stato e si aspetta dei rendimenti, ovviamente anche in caso di crisi economica.

Come mette in luce l'economista Carlo Cottarelli il rapporto debito/Pil salirà anche nel 2020, al 136,8% arrivando a pochi punti percentuali al di sotto della situazione vissuta nel 1919 (139,5%).  "E stavolta senza nemmeno una guerra mondiale" sottolinea in un tweet il direttore Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani.

Se gli eurobond sono ancora una chimera il fondo Salva-Stati resta l'unica clausola che pone uno scudo tra un Paese ad alto debito come l'Italia e gli shock finanziari del mercato. 

Cos'è Mes e cosa prevede la riforma

Il Meccanismo europeo di stabilità - il cosiddetto Fondo Salva Stati - dal 2012 sostiene le economie dei paesi membri dell’area euro in difficoltà offrendo un programma di aiuti in cambio di riforme strutturali.

Le preoccupazioni paventate in questi giorni ruotano intorno all'introduzione di una clausola sulla ristrutturazione del debito pubblico: una  richiesta dei Paesi del Nord, come Germania e Olanda, per costringere gli Stati ad alto debito pubblico come l'Italia a rispettare i patti sui conti.

In cambio di questo, i 'rigoristi' si impegnerebbero a sbloccare riforme molto care all'Italia e alle sue banche, come il backstop sul fondo di risoluzione delle banche, il completamento dell'unione bancaria, un bilancio comune dell'Eurozona e un aumento degli investimenti nazionali su scala europea (cosa richiesta da Mario Draghi e da Christine Lagarde di recente). Senza passi avanti su queste misure, l'Italia si opporrà alla riforma del Mes, dicono fonti vicine a Conte. 

Tuttavia per capire meglio, bisogna fare un passo indietro e spiegare la logica alla base del cosiddetto Fondo salva-Stati: il fondo, di cui l'Italia è il terzo contributore dopo Germania e Francia, concede prestiti agli Stati in difficoltà attraverso due linee di credito: le Precautionary Conditioned Credit Lines (Pccl) e le Enhanced Conditions Credit Line (Eccl).

La Pccl funziona come una polizza di assicurazione: il fatto stesso che esista è sufficiente a placare le preoccupazione dei mercati nel momento in cui gli Stati si trovano a ricollocare i titoli di stato in scadenza pur in presenza di un debito pubblico elevato e quindi ad un grado di rischio tale da far salire in modo incontrollato i rendimenti, ovvero i costi per le finanze pubbliche. 

Lo Stato che chiede assistenza tuttavia deve rispettare una serie di prerequisiti. La riforma modifica proprio questo aspetto introducendo una serie di paletti più rigidi rispetto agli attuali restringendo l'accesso al fondo ai Paesi la cui situazione finanziaria ed economica sia "robusta" nei fondamentali e il cui debito pubblico sia "sostenibile". Nell'ipotesi in cui l'Italia dovesse chiedere l'accesso al Pccl, dunque, potrebbero esserci delle difficoltà a rispettare i criteri sia di sostenibilità che nelle regole del debito che non rispetta dal 2013 .

A quel punto, potrebbe rivolgersi alla seconda linea di credito, l'Eccl. In queso caso, l'Italia si troverebbe costretta a siglare un memorandum d'intesa con i creditori e a compiere una serie di riforme sotto stretta vigilanza del board del Mes e della Commissione europea, cosa non prevista dal Pccl. 

Le polemiche delle banche italiane riguardano proprio un meccanismo che si innesterebbe nel caso di una ristrutturare il debito pubblico: la riforma della Cac, le clausole di azione collettiva che consente di bloccare le modfiche delle condizioni contrattuali.

Come spiega EuropaToday una minoranza di blocco potrebbe essere quella delle banche italiane, che detengono circa 400 miliardi dei 2.350 miliardi di debito pubblico italiano. Con la riforma, pero', questo cambierebbe con l'introduzione delle Single-Limb Cacs, che di fatto aggirerebbero eventuali blocchi.  

Già nel 2017, le Cac erano balzate agli onori della cronaca (almeno quella finanziaria) per via di un report di Mediobanca che ne tesseva le lodi, dicendo, in soldoni, che cosi' come sono prevengono i rischi di una uscita dell'Italia dall'Euro. Se cambieranno, cosa succederà?

"Come investitore - spiega il presidente dell'Abi Patuelli - il mio problema è che cosa fa la Repubblica Italiana per tutelare il debito pubblico italiano. Il problema è il debito pubblico italiano, che non è il debito delle banche. Se le condizioni relative al debito pubblico alterano o per maggiori assorbimenti o per interventi che favoriscano sinistri, è chiaro che le banche italiane sottoscriveranno meno debito pubblico".

Debito pubblico, di chi è la colpa

Come ricorda un recente rapporto della Commissione europea il debito pubblico dell'Italia è il secondo più alto dell'Ue e uno dei più grandi del mondo.

Per avere un'idea del macigno che pesa sull'economia, non basterebbe la ricchezza prodotta in Italia in un anno per ripagare i debiti dello Stato. Debiti che -messi insieme- costituiscono un fardello che ogni anno fa spendere all'Italia per interessi 65 miliardi di euro, cioè il 3,7% del Pil: per capirci è quanto lo Stato destina all'educazione. 

Con questi numeri il nostro Paese si presta così ad essere nelle mani della fiducia degli investitori che "giocano" nel mercato dei titoli di Stato: le recenti crisi dello spread dovrebbero essere un monito per tutti coloro che accusano i "guardiani del rigore dei conti e del debito".

Un alto livello di indebitamento è infatti un problema per lo Stato italiano perché:

  • contribuisce nel tempo ad avere una elevata spesa per interessi sottraendo risorse;
  • costringe i governi -in assenza di crescita economica- a mantenere un saldo primario positivo per evitare un crollo della fiducia.

Durante gli anni ’80 l’Italia ha raddoppiato il peso del debito pubblico e, dal 1992 in avanti, questo valore non è mai tornato sotto il 100 percento del PIL. Come ricorda Fabio Sabatini l'accumulazione via via più incontrollata del debito inizia nel 1974, con un debito al 54,5% del Pil e si chiude nel 1994 con un rapporto debito/Pil al 124,3%.

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