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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia Italia

Negozi chiusi domenica? Ecco perché potrebbe essere un errore

Una legge anti-ciclica: secondo il dossier preparato dall'ufficio parlamentare di bilancio le passate liberalizzazioni delle aperture delle attività commerciali hanno avuto impatti positivi sull'occupazione

La questione dell’apertura domenicale degli esercizi commerciali è molto controversa e ampiamente dibattuta in Italia come all'estero per le sue implicazioni di natura religiosa, sociale e sindacale. 

Dalla fine degli anni novanta diversi provvedimenti legislativi hanno riorganizzato la disciplina e da ultimo, nel 2011, il cosiddetto decreto "Salva Italia" ha previsto la totale deregolamentazione su tutto il territorio nazionale degli orari di apertura degli esercizi commerciali, domenica e giorni festivi compresi.

La proposta del governo di reintrodurre limiti alle aperture domenicali e festive, demandando agli enti locali la loro regolamentazione - salvo deroghe per i piccoli negozi delle aree turistiche, balneari e dei piccoli centri montani - ha riacceso il dibattito. 

La liberalizzazione degli orari commerciali in Italia ha avuto, secondo le stime dell'Ufficio parlamentare di bilancio, un effetto espansivo sull'occupazione. Non c'è stato, invece, nessun effetto statisticamente significativo sul volume delle vendite e sui prezzi. "Vengono confermati i dati della grande distribuzione, ossia che la liberalizzazione delle aperture domenicali non ha determinato lo sfruttamento del lavoratore, bensì più occupazione e contratti part time verticali" afferma Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori.

"È il colmo, quindi, che il ministro del Lavoro, invece di preoccuparsi di come aumentare gli occupati, sponsorizzi una legge per ridurli, chiudendo i negozi"

"Quanto alle vendite è ovvio che con le famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese ed i consumi ridotti da anni al minimo indispensabile, - aggiunge Dona - non si potessero registrare, durante la recessione, impennate nelle vendite. Anche i prezzi, sono già super scontati, visto che senza offerte promozionali le famiglie non acquistano".

Apertura domenicali: le ultime notizie

Secondo il dossier preparato dai tecnici parlamentari sedici paesi Ue su ventotto non prevedono sostanziali restrizioni per le aperture domenicali. In Italia inoltre la liberalizzazione degli orari di apertura ha:

  • cambiato le abitudini di consumo rendendo possibile la suddivisione degli acquisti sull’intero arco settimanale;
  • contribuito all’aumento dell’occupazione ma anche alla segmentazione del mercato del lavoro;
  • amplificato le conseguenze della crisi economica per alcuni piccoli esercizi commerciali;
  • contribuito, insieme alle altre norme di liberalizzazione del commercio, all’attuale assetto della grande distribuzione organizzata e a una diminuzione della frammentazione del settore.

Il dossier suggerisce di concentrarsi sulle caratteristiche strutturali del settore del commercio al dettaglio e la loro evoluzione, sulle problematiche connesse alla tutela e alla regolamentazione del lavoro domenicale e sui comportamenti di consumo nei giorni festivi, tralasciando questioni non desumibili dai dati inerenti la libertà individuale, il tempo sottratto alla famiglia, l’uso del tempo libero, i possibili effetti sul degrado urbanistico.

Nel 2016 le imprese del commercio al dettaglio erano oltre 606 mila, circa 100 mila più della Francia, 120 mila in più della Spagna, oltre 270 mila in più della Germania. Tra il 2010 e il 2016 il numero è diminuito del 6 per cento, a fronte di aumenti del 20 per cento in Francia, del 2,5 in Germania e dello 0,6 in Spagna.

Guardando alla dinamica del fatturato del commercio al dettaglio (esclusi autoveicoli e motoveicoli) tra gennaio 2006 e luglio 2018 le vendite al dettaglio, risentendo degli effetti della crisi economica, sono diminuite di circa il 2,7 per cento. La riduzione è il risultato di un andamento opposto dei principali settori merceologici: quello alimentare e quello non alimentare. Nel primo si è registrata una crescita del 5,2 per cento, mentre nel secondo una riduzione del 6,8 per cento.

I dati dell’Osservatorio Nazionale del Commercio del Ministero dello Sviluppo economico indicano che la crescita più intensa ha riguardato la Grande distribuzione organizzata (GDO): nel complesso, tra il 2010 e il 2017, gli esercizi sono cresciuti del 16,3 cento trainati soprattutto dalla crescita dei grandi magazzini, il cui numero è più che raddoppiato (da 1.570 a 3.169). La crescita è stata più intensa della media nazionale nel Sud e nelle isole e meno marcata al Centro. Anche gli addetti sono aumentati in maniera significativa, di quasi l’11 per cento (14,4 i maschi e 8,6 le femmine) e concentrati soprattutto nei grandi magazzini (45,2 per cento).

"La quantificazione empirica del possibile impatto macroeconomico della proposta di legge - chiarisce il dossier - è assai incerta, per diversi motivi: non vi sono molti casi passati di modifiche legislative simili in Italia, per cui occorre stimare impatti che tengano conto anche delle esperienze di altri paesi; i precedenti storici sono in gran parte in direzione della liberalizzazione, per cui occorre ipotizzare che la restrizione porterebbe a effetti simmetrici rispetto alla liberalizzazione; i dati utilizzati per le stime si riferiscono a un periodo in cui le vendite via internet erano poco o per nulla sviluppate, mentre oggi la possibile sostituibilità con il canale on line sarebbe verosimilmente elevata".

In linea con la letteratura disponibile, l’analisi dell'ufficio parlamentare di bilancio conferma che nella media dei paesi OCSE le passate liberalizzazioni hanno avuto impatti positivi sull'occupazione, mentre quelli sulle vendite e sui prezzi non sono statisticamente significativi.

Per quanto riguarda la riforma effettuata in Italia nel 2011, si riscontra un effetto espansivo sull’occupazione, più forte rispetto a quello medio associato alle riforme in altri paesi, come la Francia, la Germania e la Finlandia.

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