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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Economia

Pensioni, così la crisi innescata dal coronavirus influenzerà l'importo degli assegni futuri

Per chi lascerà il lavoro nei prossimi anni l'importo della pensione potrebbe essere un po' più basso. Tutta "colpa" di un meccanismo che lega la rivalutazione della quota contributiva all'andamento del Prodotto Interno Lordo

Il crollo del Pil influirà anche sull’importo delle pensioni future? A quanto pare sì: secondo “Corriere della Sera” e “Messaggero” la crisi post-Covid porterà ad una riduzione degli assegni contributivi che potrebbe arrivare al 2-3% del totale dei trattamenti. In che modo? Iniziamo col dire che i "tagli" avranno effetto sugli assegni pensionistici di chi lascerà il lavoro negli anni a venire e interesserà solo la quota contributiva dell’assegno.

Un meccanismo legato alla crescita del Pil

La riforma Dini del 1995 ha infatti stabilito che nel sistema di calcolo contributivo, il lavoratore ha diritto ad una rivalutazione del proprio trattamento collegata all’andamento del Prodotto Interno Lordo (Pil). “La rivalutazione – spiega il sito Pensionioggi - è pari alla media delle variazioni del Pil nell’ ultimo quinquennio e viene comunicata ad inizio di ogni anno dall'Istat e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”. Il valore che viene calcolato in questo modo è stato chiamato  coefficiente (o tasso) di capitalizzazione delle pensioni e incide sull’entità dell’assegno che percepirà chi lascia il lavoro: più l’economia cresce, maggiore sarà l’importo. Più l’economia arranca, minore sarà la rivalutazione. Il tasso di capitlizzazione inoltre non va confuso con il coefficiente di rivalutazione delle pensioni che invece interessa la parte retributiva dell’assegno.

Pensioni, l'introduzione del sistema contributivo

Com’è noto con la riforma Dini in Italia è stato introdotto il sistema contributivo che però ha iniziato a dispiegare i suoi effetti in modo molto graduale: chi alla fine del 1995 aveva già versato 18 anni di contributi è stato collocato nel sistema retributivo e, per la riforma Fornero, ha il calcolo contributivo solo a partire dal 2012. Poi ci sono coloro che alla fine del 1995 avevano meno di 18 anni di contributi versati e sono finiti nel sistema misto con la parte contributiva dell’assegno calcolata a partire dal ’96. Infine ci sono coloro che avendo iniziato a versare i contributi dopo il 1995 avranno un assegno basato interamente sul contributivo.

Pensioni, così cambieranno gli assegni dal 2020

Come abbiamo spiegato sopra,  il tasso di capitalizzazione si applica solo alla parte contributiva dell’assegno. I più penalizzati, scrive il “Corriere della Sera”, sono i lavoratori che andranno in pensione a partire da gennaio del 2022 in quanto avranno la rivalutazione contributiva “influenzata dal Pil di quest’anno”. Se il Prodotto Interno Lordo dovesse crollare dell’8%, la percentuale di rivalutazione sarebbe praticamente nulla, mentre il governo aveva stimato un tasso dell’1,9%.  

Andrà un po' meglio, ma non troppo, a chi lascerà il lavoro nel 2023: secondo “Il Messaggero”, in base alle stime sul Pil, il tasso di rivalutazione sarà infatti pari allo 0,8% (le previsioni ante-Covid parlavano di una rivalutazione dell’1,95%). Per un lavoratore che ha iniziato a versare i contributi nel 1980 e che va in pensione nel 2023 ciò potrebbe significare perdere ad esempio 45 euro lordi su un assegno di 2.700 euro. 

Pensioni, assegni futuri più bassi a causa del crollo del Pil? Come stanno le cose

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