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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Economia Italia

Spread oltre quota 320, Tria: "Spero non si giochi a correre verso il baratro"

Il 21 novembre è attesa la risposta dell'Europa sulla possibile apertura di una procedura di infrazione. Il ministro dell'Economia al termine dell'Eurogruppo: "Da paesi Ue pregiudizi sulle nostre politiche fiscali"

Lo spread torna a salire e si attesta a 321 punti base con un rendimento del 3,59% non lontani dai livelli raggiunti ad ottobre scorso quando il differenziale tra il rendimento tra Btp decennali e Bund raggiungese e superò quota 340 punti base per la prima volta dal 2013.

"Spero che, poiché dobbiamo difendere l'Europa, non si giochi a quello che gli anglosassoni chiamano il 'chicken game', cioè correre verso un baratro e vedere chi si ferma prima, con il rischio di cadere tutti di sotto"

Lo dice il ministro dell'Economia Giovanni Tria, in conferenza stampa a Bruxelles al termine dell'Eurogruppo. Secondo il titolare del dicastero di via XX Settembre di per sé dal punto di vista storico il livello attuale dei rendimenti dei titoli di Stato non è ancora alto, ma ci sono dei riflessi per la capitalizzazione delle banche e il problema viene seguito attentamente.

"Spero che lo spread tra poco scenda, nel momento in cui si vedrà che il nostro deficit, 2,4%, che è considerato il tetto massimo, si dimostrerà tale. Ovviamente, questo dipende da come andranno le trattative con l'Europa e dai giudizi del mercato", ha poi detto Tria. Da parte degli altri Paesi dell'Eurozona "non vedo pregiudizi anti italiani. Vedo dei pregiudizi sulle politiche economiche", ha osservato il ministro dell'Economia che critica la posizione assunta da alcuni paesi europei che contestano le politiche fiscali espansive connesse alla manovra 2019 approvata dal Governo. 

"Tutta la teoria economica degli ultimi cinquanta-settant'anni dice che quando si è in recessione si adottano politiche monetarie perché sono più rapide, mentre le politiche fiscali adottate troppo tardi diventano procicliche, perché hanno effetto solo quando la recessione è passata".

La discussione sulla manovra economica dell'Italia, se non fosse per il fatto che la Commissione Europea ha il dovere di "far notare" scostamenti da impegni presi in precedenza, potrebbe essere considerata quasi "surreale", vista l'entità dello scarto contestato al nostro Paese ha affermato, in sostanza, il ministro dell'Economia.

"Qui si sta discutendo intorno ad uno 0,4% in più o in meno di deficit".

In attesa della risposta dell'Europa - attesa per il 21 novembre - sulla possibile apertura di una procedura di infrazione è bene ricordare le "contromisure" adottate dal Governo dopo i richiami della Commissione.

Privatizzazioni, l'ultima svendita del Governo

Le privatizzazioni da 18 miliardi di euro, un punto percentuale di Pil, che il governo ha previsto per garantire il calo del debito pubblico riguarderanno proprietà dello Stato che non possono essere specificate ora, per non influenzare il mercato. Tria ha specificato che non saranno dismessi né gli asset strategici, né quelli che forniscono rendimenti elevati, più alti.

Eppure l'accelerazione delle dismissioni del patrimonio pubblico è importante: se il Governo stima un incasso di 18 miliardi nel 2019, mantiene allo 0,3% la previsione per il biennio successivo: in totale quasi 30 miliardi di euro nel triennio.

Inoltre la Nadef indicava introiti da privatizzazioni pari allo 0,3% del Pil su base annua comprendendo partecipazioni, patrimonio pubblico e revisione del sistema delle concessioni. La nuova impostazione invece prevede che i 18 miliardi verranno esclusivamente dalla dismissione di beni immobili.

Un obiettivo molto ambizioso rispetto alla tendenza degli ultimi 10 anni. Secondo un calcolo dell'Upb nell'ultimo decennio gli incassi totali da privatizzazioni sono ammontati a circa 12 miliardi, in pratica una media di 1,2 miliardi l'anno con picchi negativi nel 2015 e nel 2016 quando non si è raggiunta nemmeno quota un miliardo. Operazioni che comprendevano patrimonio pubblico e partecipazioni come i collocamenti di Enav e Poste.

Ogni nuovo governo in tempi recenti ha annunciato consistenti piani di cessioni da 0,5 fino a 0,7 punti di Pil all'anno ma i risultati a consuntivo sono sempre stati modesti rispetto ai propositi. Il precedente governo a guida Paolo Gentiloni indicò lo 0,5% del Pil per il 2017 arrivando poi a stento allo 0,1%. Il governi renzi era partito con un target dello 0,8% ma a bilancio arrivò allo 0,1% l'anno.

Inoltre nel corso degli ultimi anni le cessioni del patrimonio pubblico hanno registrato un andamento decrescente. Da circa un miliardo, negli ultimi due anni il bilancio complessivo oscilla intorno ai 600 milioni l'anno. Lo stesso ministro Tria nella nota di aggiornamento al Def alla voce cessione del patrimonio immobiliare indicava una stima di 600 milioni di euro di incassi per l'anno in corso e la previsione di 640 milioni nel 2019 e 600 milioni nel 2020.

A quanto ammonta il patrimonio immobiliare pubblico?

Il patrimonio pubblico censito due anni fa dal Mef conta circa un milione di fabbricati pubblici per un valore di 283 miliardi, ma il 77% non è disponibile per la vendita in tempi rapidi in quanto utilizzato dalle amministrazioni centrali e periferiche.

Oltre al patrimonio immobiliare lo Stato e gli enti locali possono contare ancora su un rilevante portafoglio di partecipazioni. Quelle detenute direttamente e indirettamente dal Mef si possono stimare in circa 80 miliardi di euro, mentre quelle che fanno capo agli enti locali sono valutate intorno ai 14 miliardi nei conti finanziari.

Negli ultimi anni la Corte dei conti ha evidenziato che il contributo delle dimissioni alla riduzione del debito pubblico è certamente necessario ma "difficilmente potrà risultare determinante nel breve-medio periodo". 

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