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Sabato, 20 Aprile 2024
Economia

Italiani tartassati dal Fisco: paghiamo 552 euro in più (a testa) rispetto alla media europea

Nel 2018 gli italiani hanno pagato 33,4 miliardi di euro in più rispetto alla media dell'Unione Europea. I numeri della Cgia:  solo in Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia la pressione fiscale è maggiore

Lo scorso anno i contribuenti italiani hanno pagato 33,4 miliardi di euro di tasse in più rispetto alla media versata dai cittadini dell'Unione Europea. Un gap quantificabile in 2 punti percentuali di Prodotto Interno Lordo e che invece, in termini pro capite, ha rappresentato per ogni italiano una spesa di 552 euro in più rispetto alla media dei cittadini europei. A fare i conti è l'Ufficio studi della Cgia che ha comparato la pressione fiscale dei 28 Paesi dell'Ue e successivamente, calcolato il divario esistente tra l'Italia e ciascun Paese appartenente all'Unione.

Se avessimo la pressione fiscale della Germania, infatti, verseremmo 24,6 miliardi di tasse in meno (407 euro pro capite), dell'Olanda 56,2 (930 euro pro capite), del Regno Unito 114,2 (1.888 euro pro capite) e della Spagna 119,5 (1.975 euro pro capite). Solo Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia invece hanno pagato mediamente più tasse di noi nel 2018. La vera ''sorpresa'' è Parigi: ogni cittadino d'Oltralpe ha versato al fisco 1.830 euro in più rispetto a noi. In termini assoluti il divario fiscale è a noi favorevole e ammonta a 110,7 miliardi di euro.

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''Il tempo degli slogan e delle promesse è terminato. Con la prossima manovra di Bilancio è necessario uno scossone che nel giro di qualche anno riduca di 3-4 punti percentuali il peso delle tasse. Considerata la delicata situazione dei nostri conti pubblici, tale intervento sarà praticabile solo ed esclusivamente se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte dei bonus fiscali", denuncia il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo.Operazione, quest'ultima, che appare difficilmente perseguibile. A confermarlo, ammonisce ancora, sono i risultati ottenuti in questi ultimi 10 anni. "Tutti gli esecutivi che si sono succeduti si sono cimentati con grande determinazione sul versante della spending review; gli esiti, però, sono stati insoddisfacenti. L'auspicio è che il Governo Conte abbia maggiore fortuna''.

Le troppe tasse, comunque, sono un problema non solo perché mettono a repentaglio la tenuta finanziaria di tante famiglie e altrettante imprese, ma anche poiché hanno innescato nel sistema economico dei processi viziosi molto pericolosi. ''Con un peso fiscale opprimente e una platea di servizi erogati dall'Amministrazione pubblica che negli ultimi anni è diminuita sia in termini di qualità che di quantità, la domanda interna e gli investimenti hanno subito una caduta verticale. Inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa, creare nuovi posti di lavoro e redistribuire la ricchezza", afferma il segretario della Cgia, Renato Mason. "Alle piccole e piccolissime imprese, altresì, l'effetto combinato tra il calo dei consumi delle famiglie e la contrazione dei prestiti bancari ha provocato molti squilibri finanziari, costringendo tantissimi lavoratori autonomi a chiudere l'attività e a cambiare mestiere''.

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L'Italia tra l'aumento Iva e l'evasione fiscale

E in attesa che la manovra di Bilancio 2020 chiarisca come verranno ''recuperati'' i 23,1 miliardi di euro necessari per evitare che dal prossimo 1° gennaio l'Iva torni ad aumentare, la Cgia ricorda che la pressione fiscale ''reale'' presente nel nostro Paese sia di ben 6 punti superiore al dato ''ufficiale''. Il nostro Pil, infatti, come del resto quello di altri Paesi dell'Ue, include anche gli effetti dell'economia non osservata che, secondo le ultime stime dell'Istat, ammontano a 209 miliardi di euro all'anno.

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Questa ''ricchezza'', generata dalle attività irregolari e illegali, se da un lato non fornisce alcun contributo all'incremento delle entrate fiscali, dall'altro accresce la dimensione del Pil. La pressione fiscale, ricordando, infatti, si ottiene dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil: se dalla ricchezza prodotta togliamo la componente riconducibile all'economia ''in nero'', il risultato del rapporto in capo ai contribuenti onesti aumenta, consegnandoci un carico fiscale ''reale'' molto superiore a quello ''ufficiale'' (48% anzichè 42,1%).

Gli effetti della flat tax

Ma la flat tax può costituire la medicina che consentirà alla pressione fiscale italiana di scendere ad un livello accettabile? Si chiede ancora la Cgia. "Premesso che qualsiasi misura che riduca il peso delle tasse non può che essere salutata positivamente, bisogna fare molta attenzione", risponde l'ufficio studi: "se i numeri in circolazione in queste settimane saranno confermati, pare che già oggi sulla maggior parte dei contribuenti Irpef gravi un'aliquota effettiva inferiore al 15%. Pertanto, l'applicazione della tassa piatta rischia di interessare un numero ristretto di soggetti con redditi medio-alti. Tuttavia, la vera questione sarà dove trovare le risorse per realizzare questa decisa riduzione delle imposte".

E un ipotetico aumento dell'Iva seppure in forma selettiva come ventilato in questi giorni trova la Cgia critica. "L'operazione che favorirebbe sicuramente le esportazioni, come sostengono i tecnici di via Venti Settembre, penalizzerebbe però i consumi interni. E a pagare il conto non sarebbero solo le famiglie, in particolar modo quelle meno abbienti, ma anche gli artigiani, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente di domanda interna", dicono ancora gli artigiani mestrini che ricordano come, nell'ipotesi peggiore che non vengano recuperati entro la fine di quest'anno 23,1 miliardi di euro, l'aliquota ordinaria passerà dal 22 al 25,2% mentre quella ridotta salirà dal 10 al 13%.

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