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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cinema

"Belluscone": Maresco racconta la Sicilia (e l'Italia) al tempo di Silvio

Presentato a Venezia il capolavoro del regista palermitano, viaggio incompiuto eppure definitivo alla scoperta dell'inestirpabile virus che ha colpito la nostra società

Ci vuole coraggio per guardare "Belluscone - una storia siciliana" di Franco Maresco, presentato a Venezia 71. Ci vuole il coraggio di guardare in faccia la realtà, quello che siamo diventati e quello che in fondo, forse, ci siamo meritati. Il regista palermitano, che a Venezia non si è presentato lasciando a bocca asciutta i giornalisti che lo aspettavano al varco, ci spaventa e ci illude quando a prima vista sembra consegnarci l'ennesimo film su Berlusconi e sui suoi misteri. Invece su Berlusconi Silvio c'è poco, mentre molto c'è sul Belluscone idolatrato e mitizzato dai siciliani e sulla mafia, ma anche su Franco Maresco e sulla sua visione della vita e del cinema.

"Belluscone" è il film che non c'era, il film dichiaratamente incompiuto di un Maresco che ha deciso di scomparire dopo aver rinunciato a trovare una chiave tra il docufilm e l'analisi politica e sociale e che invece è assolutamente definitivo; il film che il suo amico Tatti Sanguineti cerca, come in finto noir, di ritrovare e di ricostruire andandolo a cercare proprio nel materiale girato dal regista prima di scomparire. Era nato come un'inchiesta sui legami tra Berlusconi e Cosa Nostra; è diventato un capolavoro meraviglioso, struggente, quasi wellesiano, potentissimo, grottesco e analitico fino alla vivisezione della Sicilia e dell'Italia. 

E allora ecco il viaggio tra le immagini girate da Franco Maresco, con il suo sguardo impietoso su personaggi così grottescamente al limite da essere dei veri e propri freaks, e interviste da film-inchiesta, come quella a un Marcello Dell'Utri assiso su un trono, rincorso per mesi, e resa vana per sempre da un fonico incompetente che non riesce a registrare l'audio dell'epocale rivelazione del legame tra Silvio Berlusconi e chi ha ucciso Enrico Mattei, fino a materiale d'archivio sulle operazioni di contrasto alla mafia da parte delle forze dell'ordine.

Direttamente da CinicoTv sembra arrivare Ciccio Mira, impresario organizzatore di spettacoli di quartiere a base di cantanti neomelodici napoletani, che si muove liquido in quel sottobosco di collusioni piccole e grandi, reticente a qualsiasi domanda sull'esistenza della mafia e sui suoi condizionamenti: come la proverbiale nebbia milanese, la mafia c'è ma non si vede. La viscida codardia dell'uomo piccolo piccolo Ciccio Mira ispira un ribrezzo senza fine eppure, vedendolo resistere imperterrito, maestro dell'italica capacità di dire senza dire, sotto il fuoco di fila delle domande di Maresco, è impossibile non riconoscere lo sguardo affascinato del regista.

I quartieri palermitani dove Ciccio Mira esercita il suo dominio sono quelli come Brancaccio, che ha votato in massa per Berlusconi, da sempre idolatrato e osannato, e addirittura messo al centro di una canzone neomelodica, "Vorrei conoscere Berlusconi", che diventa il terrificante leit-motiv del film e il cui autore, che prega sulla tomba del mafioso Stefano Bontade, intenta una causa a Maresco quando si accorge che il film non è pro-Silvio come lui aveva creduto.

L'indagine del regista si dispiega tra interviste a giornalisti, pentiti, persone informate dei fatti, ma in definitiva si concentra lì, tra quei vicoli, tra le persone che guardano i programmi delle tv locali dalle quali si mandano saluti ai carcerati, gli "ospiti dello Stato", insieme a quello che ha cercato di ammazzarsi dopo aver saputo della caduta di Berlusconi perché temeva che ora lo Stato cattivo gli avrebbe tolto la pensione donata dal divo Silvio, ai tamarrissimi cantanti neomelodici che lanciano ipocriti messaggi antiviolenza "in generale" ma non vogliono mettersi contro la mafia e che sognano la svolta della vita incontrando Berlusconi ed entrando a far parte della sua squadra, fino a quelli che si offendono se vengono chiamati "carabinieri" e ai nostalgici della mafia di un tempo, quella che dava lavoro e uccideva soltanto chi era giusto uccidere. E si chiude con i giovani bene, non quelli che si affannano sotto al palco scalcinato delle feste di quartiere, ma quelli che popolano i locali alla moda: neanche per loro la mafia esiste e il 23 maggio è una data come un'altra. 

Immagini spaventose che vorremmo fossero finte, come il film incompiuto di Maresco scomparso e ricercato da Sanguineti, e che invece sono verissime.

Berlusconi è caduto, Maresco (apparentemente) ha rinunciato alla lotta del film d'inchiesta dopo aver scoperchiato un vaso di Pandora di omertà, miseria morale e ignoranza. Ma il virus del "berlusconismo" che ha colpito l'Italia è ancora lì, come mostra il finale con Renzi in bomber di pelle che va in passerella tra il pubblico adorante di Maria De Filippi, in perfetta continuità tra passato e presente (e futuro).  

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