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Sabato, 20 Aprile 2024
Cinema

"L'ultima ruota del carro" al Festival del Film di Roma

Giovanni Veronesi firma il film di apertura dell'ottava edizione, con uno strepitoso Elio Germano nei panni di un uomo comune che riflette i cambiamenti e le contraddizioni della società italiana dagli anni Settanta al Duemila

Trent’anni di storia italiana raccontati dalla parte di un italiano, un uomo comune come se ne incontrano tanti per strada o nelle nostre famiglia.

 “L’ultima ruota del carro” di Giovanni Veronesi apre l’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, portando in scena proprio la vita semplice di Ernesto Marchetti, seguito dalla sua infanzia fino alla maturità: bambino negli anni del boom, giovane soggetto a un padre-padrone d’altri tempi, sposo novello della ragazza della porta accanto, lavoratore indefesso pronto a mettersi in gioco, padre di famiglia che cerca di migliorare la condizione della propria famiglia provando a fare mille lavori. 

In mezzo ci sono la morte di Aldo Moro, l’Italia campione del mondo nel 1982, i socialisti e Tangentopoli, la nascita di Forza Italia e il berlusconismo. Una storia vera quasi al 90 per cento perché Veronesi si è ispirato a Ernesto Fioretti, autista di cinema famoso sui set e amico di Veronesi e Verdone.

Un personaggio comune, umanissimo e facile da amare e comprendere, interpretato magistralmente da un Elio Germano sempre più bravo (e credibilissimo nel presentarsi nei panni di Ernesto da quando portava i basettoni anni Settanta fino alla vecchiaia). Umile senza essere fesso, buono ma non vigliacco, Ernesto resta sempre se stesso e rappresenta quello che di buono l'Italia ha prodotto e può continuare a produrre, nonostante le sirene dell'arricchimento facile e del successo a tutti i costi senza sacrifici e valori. 

La vita dell'italiano medio Ernesto può sembrare comune, anonima e senza guizzi particolari, eppure proprio questa è la forza del racconto e del film di Veronesi, che lascia da parte le storie d'amore facili e ridanciane come i vari "Manuale d'amore" che lo hanno portato al successo per seguire da vicino un personaggio e una vicenda che chiaramente gli stanno più a cuore dei problemi sentimentali di Verdone, Muccino e compagnia. La differenza si vede e si percepisce in ogni scena, anche se a volte Veronesi scivola nel didascalico quando vuole sottolineare e rendere troppo evidente il legame tra gli avvenimenti storici e quelli personali del protagonista. 

Il film soffre però della necessità di dover condensare in meno di due ore tre decenni di storia italiana insieme alle vicende del protagonista, lasciando alla fine l’impressione di aver assistito a una fiction piuttosto che a un lungometraggio vero e proprio. 

Oltre a Germano, ci sono tanti volti noti del cinema e della televisione che cesellano ognuno un personaggio in maniera perfetta (Ricky Memphis è l’amico sbruffone, Alessandra Mastronardi la moglie, Maurizio Battista lo zio rozzo e facile all’intrallazzo, Massimo Wertmuller è il padre, Alessandro Haber un pittore della pop art amico di Ernesto, Sergio Rubini l’industriale dalla tangente facile e le amicizie socialiste).

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