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Venerdì, 29 Marzo 2024
Musica

Ex-Otago: "Cosa resterà di questi anni indie pop" (INTERVISTA)

All'indomani di Sanremo, la band genovese, pioniera del pop indipendente, si racconta a Today, dal tour 'La notte chiama' a Genova "grintosa ma abbandonata dai politici". Fino al progetto di valorizzazione dell'Appennino promosso dal frontman Maurizio Carucci: "Perché coltivare la vite non è più difficile di passare otto ore davanti ad un pc"

Agli Ex-Otago le etichette non piacciono. Non sono mai piaciute. Sin da quando, nel 2002, hanno cominciato ad investire nel pop nonostante per tutti fosse "qualcosa di troppo commerciale" e quindi poco nobile. Oggi però il genere vive una nuova primavera sotto l'egida del rinnovato cantautorato indipendente e gli artisti genovesi girano l'Italia da pionieri dell' "indie", con 'La notte chiama tour', omonima tournée dell'ultimo brano uscito, 'La notte chiama', in radio dal 14 giugno, elogio all'amore interpretato col trapper Izi. Nel frattempo, tra una data e l'altra, il frontman Maurizio Carucci, quello che gli etichettatori professionisti hanno già soprannominato il "cantante-contadino", coltiva vino in Val Borbera, nella sua Cascina Barbàn, dove si è trasferito insieme alla compagna Martina, dopo aver deciso dieci anni fa di abbandonare la città natale Genova, e promuove iniziative per la valorizzazione dell'Appenino. Lo incontriamo insieme alla band a Roma, qualche minuto prima del live che accompagna la celebrazione dei 10milioni di users Iqos alla 'Iqos Embassy', concept store del dispositivo smoke free di Philip Morris International. 

Insomma che cosa resterà di questa impetuosa ondata Indie, che ha travolto e cambiato il mercato musicale italiano negli ultimi due anni?

Sicuramente tante cose andranno perse per strada e non ne ricorderemo neanche più il nome, ma a rimanere saranno quelli che avranno dimostrato di avere qualcosa da dire e, soprattutto, coloro che avranno ancora voglia di parlare. Io però credo che, a differenza di quanto avviene generalmente, non sia esatto definire il momento come un'onda, o come un movimento particolarmente veloce. Ormai l'indie pop e l'ItPop altro rappresentano il pop italiano di oggi.

Da qualche mese si parla appunto di 'ItPop', inteso come un "figlio" dell'Indie: incentrato su un approccio più leggero, andrebbe incontro al mercato, abbandonando il retaggio più alternativo. Ma qual è, nei fatti, la differenza tra le due correnti?

La diversità sta solo nella debolezza che porta gli esseri umani a mettere sempre dentro alle scatole i generi e i cantanti. In realtà ad esistere è il pop, che è una categoria per sua natura eterogenea e capace di raggiungere un pubblico vasto: dove c'è Fulminacci c'è anche Biagio Antonacci, ci sono Calcutta e i TheGiornalisti. Quando siamo nati, la scelta di chiamarci pop è stata avanguardistica. La nostra ex etichetta discografica aveva un nome ironico per definire il genere: "Pop sbagliato". Oggi per noi è quasi un sollievo evitare distinzioni. 

In basso, il chitarrista Francesco Bacci

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Dopo anni trascorsi nei circuiti indipendenti, l'ultimo Festival di Sanremo vi ha consegnati al grande pubblico grazie a 'Solo una canzone'. Come è cambiato il vostro seguito da allora?

Di certo c'è che il nostro pubblico si è confermato, proprio come avviene da sempre, trasversale: a vedere i concerti arrivano adolescenti e sessantenni. Al momento, però, ancora non sappiamo tracciare un bilancio preciso. Consiglieremmo a qualunque collega di partecipare a Sanremo e siamo pronti a tornare se avessimo il pezzo giusto, ma non amiamo porci aspettative. Abbiamo vissuto l'esperienza con serenità: l'intenzione era quella di giocarcela bene rimanendo noi stessi. E così è andata.

Di certo c'è il tour estivo, da Treviso alla Puglia, da Roma a Bologna, fino a fine agosto. Lo definite una "Otagata". 

Non è il "solito" concerto, ma uno show fatto di musica, visual, emozioni, momenti di riflessione e tante sorprese. Porteremo sul palco hit da ballare come 'Tutto bene' e 'Cinghiali incazzati' e ci si abbraccerà sulle note dei brani più romantici, compresi quelli contenuti Corochinato (l'ultimo album uscito l’8 febbraio, ndr).

Poi c'è AppenninoPop, documentario destinato alla valorizzazione della Val Borbera. Con quali spunti concreti intende facilitare possibili ritorni?

Lo scopo è avvicinare un pubblico nuovo e giovane a tematiche cruciali per l’Appennino, alle sue problematiche e possibilità, attraverso il racconto di chi vive la montagna e lavora la terra, di ricercatori e studiosi: ovvero coloro che hanno scelto di resistere. Spunti? Il silenzio e il buio, due cose apparentemente banali ma impossibili da trovare in città e capaci di far godere le persone. In un periodo storico così confuso, la vita in montagna può offrire idee interessanti a livello socio-economico: il riavvicinamento alle attività artigiane e contadine è auspicabile oggi che abbiamo delegato ogni cosa. Tornare a saper fare con le mani per me è stato interessante.

Ed è stato facile il salto dalla città alla montagna?

No, ma non credo che trascorrere otto ore al giorno davanti allo schermo di un pc sia molto più semplice che coltivare una vite o un frutteto, o provare ad aprire una azienda agricola. Entrambi hanno un grado altissimo di difficoltà, ma la vita è una. L'ostacolo maggiore è quello culturale: quando si pensa a vivere e a lavorare, è sempre la città a riempire lo spazio dell'immaginario.

Come si coniuga la mediaticità dello spettacolo con l'autenticità della vita di campagna?

La campagna è iper terrena, la musica invece è astratta e vola alta. Sono realtà distanti ma capaci di compensarsi. Riuscire a metterle in comunicazione significa vivere in un quadro molto ricco.

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Guardando invece alle sue origini: a Genova il 28 giugno è avvenuta la demolizione del Ponte Morandi. Qual è la situazione in città un anno dopo?

La storia di Genova, sin dalla prima guerra mondiale, ci ha sempre abituati a subire le circostanze peggiori. Oggi ci ritroviamo con la grinta che ci contraddistigue da sempre, ma la città è un po' sola ed abbandonata dagli stessi politici: dopo un anno il ponte è stato buttato giù, ma ancora non esiste un vero e proprio colpevole, né un piano che valorizzi la città e la renda migliore di com'è adesso. 

A proposito di politica e delle "scatole" a compartimenti stagni citate prima, qualcuno ritiene che chi si occupa di musica non dovrebbe parlare di politica. Sono coloro che hanno attaccato voi ed altri colleghi musicisti quando, giorni fa, vi siete schierati in difesa di Carola Rackete. 

E' un ragionamento che equivale a dire: sei in questo mondo qui ma non puoi parlarne. 

Chiosa il chitarrista Francesco  Bacci: Politica non è slogan, non è partitica, non è qualcosa di ingessato nelle bandiere, ma è stare al mondo. Fare politica, in un certo senso, molto leggero, è anche parlare d'amore, avere una relazione: è interessarsi di che cosa accade intorno. 

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