In Tibet si continua a protestare contro la dominazione cinese. Questa volta a immolarsi sono stati due giovani monaci buddisti, che si sono dati fuoco domenica a Lhasa, davanti al tempio di Jokang.

Le autorità sono intervenute immediatamente. Uno dei due religiosi è sopravvissuto, mentre l'altro è deceduto a causa delle ferite riportate, come riporta il quotidiano francese Le Monde citando Radio Free Asia. 

E' la prima volta che un'azione simile ha luogo nella capitale della regione autonoma del Tibet, controllata da Pechino. Hao Peng, alto dirigente comunista e responsabile del territorio, ha condannato il gesto dei due uomini, definendoli “atti volti a separare il Tibet dalla Cina”.  Lo stesso Qi Zhala, capo del Partito comunista nella regione autonoma, poco tempo fa aveva denunciato le immolazioni dei monaci tibetani, arrivando a parlare di  azioni “separatiste”, portate avanti dalla “cricca” del Dalai Lama, capo spirituale buddista esiliato da Pechino. 

Controlli nella città - All'inizio dell'anno le autorità avevano aumentato i controlli intorno ai monasteri buddisti della capitale, e nelle ultime ore le forze dell'ordine hanno potenziato il numero dei propri uomini nella città. “Ci sono molti più poliziotti di prima e hanno aumentato i controlli”, ha dichiarato all'agenzia di stampa Afp una donna che gestisce un hotel a Jokang,  quartiere famoso per i suoi monasteri buddisti. 

Sale a 33 il numero delle immolazioni - A partire dal marzo dell'anno scorso più di trenta tibetani, per la maggior parte monaci buddisti, si sono dati fuoco per protestare contro la dominazione cinese, accusata di voler distruggere la cultura e le tradizioni del luogo. Pechino ha sempre affermato di aver “liberato pacificamente” la regione del Tibet, portando un miglioramento nelle condizioni economiche della popolazione.