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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Desaparecidos, dopo 40 anni la verità sulla scomparsa di 23 italiani in Sudamerica

Trenta ergastoli: questa la richiesta della Procura di Roma per ex militari, ex ministri ed ex capi di Stato di Bolivia, Perù, Cile e Uruguay accusati di aver portato avanti il 'Piano Condor' finalizzato all'eliminazione di qualunque oppositore ai regimi dittatoriali

Trenta richieste di condanna all'ergastolo: sono queste le richieste della Procura di Roma nel processo davanti alla terza corte d'Assise a carico di ex alti militari, ex ministri ed ex capi di Stato, di nazionalità boliviana, peruviana, cilena e uruguayana per il sequestro e l'omicidio di 23 cittadini italiani, spariti nel nulla tra il 1973 e il 1978, nell'ambito del cosiddetto 'Piano Condor', l'accordo di cooperazione portato avanti dalle dittature di sette paesi sudamericani e finalizzato all'eliminazione di qualunque oppositore al regime, sindacalisti, intellettuali, studenti, operai e esponenti di sinistra.

Tra gli imputati c'è anche Jorge Nestor Troccoli, 69enne già membro dell'intelligence della dittatura uruguayana, dal 2002 anche cittadino italiano, attualmente residente a Battipaglia, comune della provincia di Salerno. Si sta, dunque, per concludere, almeno in primo grado, il procedimento giudiziario portato avanti con ostinazione, senza l'ausilio della polizia giudiziaria, dal pm Giancarlo Capaldo, la cui indagine aveva preso le mosse una decina di anni fa dalle denunce presentate da diversi parlamentari e da alcune associazioni dei familiari delle vittime di campagne di repressione.

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Gli indagati inizialmente erano 140 (c'erano anche argentini, brasiliani e paraguayani) ma problemi burocratici legati alla notifica dell'avviso di conclusione dell'inchiesta e la sopraggiunta morte di alcuni di coloro che avevano fatto parte delle varie giunte militari sudamericane, hanno contribuito a ridurre sensibilmente il numero dei soggetti da mandare a processo.

Quello che si sta celebrando nell'aula bunker di Rebibbia non è il primo processo che riguarda i 'desaparecidos': il 6 dicembre del 2000 vennero condannati all'ergastolo i generali argentini Guillermo Suarez Mason e Santiago Omar Riveros, per il rapimento e l'omicidio di otto cittadini italiani durante la dittatura militare. E 24 anni di reclusione vennero attribuiti ad altri cinque sottufficiali (Juan Carlos Gerardi, Luis Jose' Porchetto, Alejandro Puerta, Oscar Hector Maldonado e Roberto Julio Rossin) giudicati colpevoli di omicidio. La vicenda riguardava i crimini commessi contro Laura Estela Carlotto, Roberto Julio Morresi, Pedro Lucio Mazzocchi, Luis Alberto Fabbri, Daniel Jesus Ciuffo, Martino Martinu e Mario Marras, tutti scomparsi e uccisi per mano dei militari, al pari del piccolo Guido Carlotto, sottratto alla madre subito dopo la nascita.

La sentenza poi fu confermata in appello nel 2003 e in Cassazione l'anno dopo. Nel frattempo, pero', il pm Francesco Caporale, che aveva lavorato sull'omicidio di questi otto italiani, aveva aperto una seconda indagine che portò sul banco degli imputati, nel giugno del 2006 sempre in Assise, cinque ufficiali della Marina Argentina (Jorge Eduardo Acosta, Alfredo Ignacio Astiz, Jorge Raul Vildoza, Antonio Vanek, ed Hector Antonio Febres), accusati di omicidio volontario premeditato e aggravato dalle sevizie e dalla crudelta' in relazione alla morte di tre italo-argentini, Angela Maria Aieta, Giovanni e Susanna Pegoraro.

I cinque, sospettati di aver fatto parte del 'Grupo de Tarea 3.3.2' istituito presso l'Esma (Escuela superior de mecanica de la armada), furono condannati all'ergastolo, diventato definitivo nel febbraio del 2009. Durante il giudizio di primo grado tantissimi ex compagni di prigionia delle tre vittime vennero in aula a raccontare una galleria di orrori e di violenze subite.

Oltre a loro ci furono anche quattro testimonianze 'eccellenti': quella del simbolo della battaglia per i figli dei 'desaparecidos' in Argentina, la signora Estela Carlotto, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, del giornalista Rai Italo Moretti, tanti anni da inviato in America latina, del diplomatico Enrico Calamai, lo "Schindler di Buenos Aires" che mise in salvo piu' di 300 oppositori politici del regime, e del giornalista-scrittore Horacio Verbitsky (della giunta direttiva di Human Rights Watch/Americas) che ha piu' volte denunciato le atrocità del regime militare argentino. 

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