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Martedì, 23 Aprile 2024
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Guerra in Siria, scade la tregua: ora Trump ha un piano per "salvare" i curdi

Putin e Erdogan a Sochi tentano di "normalizzare" il destino della Siria ma alla partita non può non prendere parte anche l'America: perché il territorio del Kurdistan nasconde sotto la sua superficie semi desertica un vero e proprio tesoro

Terminerà questa sera quando in Italia saranno le 21, la tregua concessa dalla Turchia per il ritiro dei miliziani curdi Ypg dalla Siria nordorientale. Le autorità di Ankara hanno precisato al quotidiano statunitese Bloomberg che, allo scadere della tregua concordata con gli Stati Uniti, i militanti curdi che non avranno lasciato la cosidetta "zona di sicurezza" saranno considerati "obiettivi legittimi dell'esercito".

È in questo contesto che si dipana l'incontro a Sochi del presidente russo Vladimir Putin con l'omologo turco Recep Tayyip Erdogan. In una nota diffusa dal Cremlino si legge che i colloqui tra Putin ed Erdogan si concentreranno sul tentativo di "normalizzare la situazione": Russia e Turchia hanno posizioni opposte rispetto al destino dello stato mediorientale con Mosca che appoggia il regime di Bashar al-Assad e la sua unità territoriale; mentre Ankara da otto anni appoggia le milizie ribelli sunnite che avevano tentato di prendere il potere a Damasco, salvo poi dover riparare in alcune enclave a ridosso dei confini.

Potrebbe già bastare per avere una idea del caos che si agita in quel territorio che vide nascere lo Stato Islamico e in cui ancora migliaia di miliziani vivono nelle prigioni curde. Ma nella partita non può non far parte anche l'America. Perché il territorio del Kurdistan che si estende dall'Iraq alla Turchia passando appunto per il nordest siriano nasconde sotto la sua superficie semidesertica un vero e proprio tesoro.

Guerra in Siria per il petrolio dei curdi

Come ha spiegato il presidente Donald Trump, gli Stati Uniti sono intenzionati a tenere "un piccolo numero di soldati" nel nord-est della Siri per proteggere i giacimenti petroliferi, annunciando che una società americana potrebbe aiutare i curdi siriani a sviluppare la produzione di greggio destinata all'esportazione.

"Ho sempre detto che dobbiamo controllare il petrolio", ha detto Trump in una riunione di Governo ieri, aggiungendo che "lavoreremo con i curdi in modo che abbiano un po' di denaro, in modo che abbiano un certo flusso di cassa. Forse riusciremo a far entrare una delle nostre grandi compagnie petrolifere e a fare questa operazione nel modo giusto".

Ex funzionari dell'amministrazione Usa hanno dichiarato che il piano di Trump solleva una serie di questioni legali, tecniche e diplomatiche. E gli analisti del settore affermano che è improbabile che attiri l'interesse delle compagnie petrolifere statunitensi.

Oltre confine il ministro delle Finanze iracheno, Fuad Hussein, ha affermato che il suo Governo non è ancora stato contattato in merito al piano di Trump, che secondo i funzionari statunitensi prevede l'esportazione di petrolio siriano, probabilmente prodotto con l'aiuto di una società americana, attraverso l'Iraq. "Questa è una novità. Deve essere discussa a Baghdad e a Erbil", ha dichiarato Hussein in un'intervista, riferendosi alla capitale della regione semiautonoma curda in Iraq.

Ma il piano di Trump sulla Siria potrebbe avere una sua validità: il petrolio fornirebbe un pretesto per mantenere le relazioni statunitensi con le forze democratiche siriane guidate dai curdi, continuare la lotta contro lo Stato islamico e fornire ai curdi un'alternativa alla vendita di petrolio agli intermediari che lo trasferiscono al regime del presidente siriano, Bashar al-Assad.

Guerra in Siria, il piano di Trump

Nel Medioriente quanto è accaduto dal 1979 a oggi è un cataclisma geopolitico neppure paragonabile per intensità alle pur catastrofiche conseguenze che furono determinate in Europa dal crollo del Muro di Berlino, solo dieci anni più tardi: è ineguagliabile lo stravolgimento dei ruoli e dei rapporti di forza che si è verificato rispetto ad allora.

Allargando lo sguardo gli eventi di questi giorni in Siria, concludono un'epoca quarantennale in cui il Medioriente ha vissuto un vero e proprio cataclisma.

Solo guardando le aree di influenza la Turchia ha assunto il ruolo militare offensivo che un tempo fu solo dell'Egitto. Da storico bastione occidentale e della Nato, messa alla porta dall'Unione europea ha cercato un suo futuro geopolitico nel Medioriente.

Non sarà facile, ora, riuscire a ricomporre il quadro mediorientale, conciliando da una parte la sicurezza assoluta di Israele con le ambizioni dell'Iran, e dall'altra il ruolo storico dell'Arabia Saudita con le più recenti pulsioni turche. Donald Trump ha ceduto ben volentieri a Vladimir Putin il cerino acceso sul barile di benzina.

Guerra in Siria, 228.000 rifugiati siriani in Iraq

A una settimana da quando i primi rifugiati hanno varcato il confine nel nordest della Siria per entrare in Iraq, gli arrivi nella parte settentrionale del Paese continuano ininterrotti. Il personale dell’UNHCR impegnato sul campo riferisce che, alla data di oggi, sono oltre 7.100 le persone arrivate a partire da lunedì scorso. La maggior parte – poco meno di 7.000 – sono accolte nel campo rifugiati di Bardarash, circa 140 km a est del confine tra Iraq e Siria.

La maggior parte dei rifugiati siriani fugge da città e villaggi della Siria nordorientale. Tre su quattro sono donne e bambini. Tra loro vi sono minori non accompagnati. Alcuni, soprattutto i minori, necessitano di primo soccorso psicosociale e supporto psicosociale, essendo fuggiti traumatizzati dalle ostilità. Alcuni hanno assistito a esplosioni e bombardamenti.

Prima degli ultimi arrivi, circa 228.000 rifugiati siriani hanno trovato rifugio in Iraq, costretti a fuggire dalle proprie case da oltre otto anni di conflitto e distruzione.

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