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Venerdì, 19 Aprile 2024
Mali / Mali

Ecco perché stiamo entrando in guerra nel Mali

Nel racconto della guerra sui media manca il contesto. Ecco cinque cose da sapere per capire davvero quello che sta succedendo in Mali: i gruppi ribelli, il ruolo di al Qaeda, la tempistica dell'intervento armato e le prospettive

Mentre la guerra in Mali si intensifica, la regione e le sue complicate dinamiche politiche dominano i titoli dei giornali. Le notizie che leggiamo in giro sono però spesso solo brevi "dispacci", che dicono tutto e niente allo stesso tempo. Manca il contesto, si dà per scontato che i lettori conoscano alla perfezione il quadro storico e politico. Per chi vuole un quadro più ampio, ecco cinque cose da sapere sul conflitto in Mali. Cinque aspetti che troppo spesso vengono trascurati nel racconto della vicenda.

PRIMO: LE ARMI DI GHEDDAFI NON HANNO DATO IL VIA ALLA GUERRA, MA HANNO AIUTATO
E' forte la tentazione di vedere il conflitto in Mali come un'inevitabile conseguenza della caduta del regime di Muammar Gheddafi in Libia. Ci sono alcune prove a sostegno di questo. Gheddafi, a causa della sua "follia" - o forse proprio per questo - era un elemento di stabilizzazione nella regione del Sahel. Il suo denaro finanziava i politici regionali, il suo sostegno militare a volte appoggiava i governi regionali, e le sue iniziative diplomatiche grandiose imponevano la cooperazione regionale. Era il "poliziotto", e ora senza di lui nessun paese nella regione è abbastanza forte per imporre l'ordine.

Per il Mali, Gheddafi è stato particolarmente importante perché il suo esercito era solito reclutare migliaia di giovani uomini del gruppo etnico dei Tuareg del nord, che rappresenta storicamente in Mali l'opposizione più forte. I Tuareg sono i nomadi del deserto del Sahel, e hanno a lungo respinto l'autorità del governo del sud, di Bamako. Hanno guidato diverse rivolte armate negli ultimi decenni. Così, quando i "Tuareg di Gheddafi" sono stati costretti, dopo la caduta di Tripoli, a tornare a casa a nord del Mali hanno portato con loro armi sofisticate e un sacco di soldi: era evidente che ci sarebbero stati dei problemi.

Nessuno, tuttavia, pensava che nuova ribellione sarebbe esplosa così in fretta. Solo pochi mesi dopo la morte di Gheddafi i primi Tuareg hanno iniziato a condurre sporadici raid contro l'esercito del Mali sono stati lanciati. Questa rapidità è stata possibile solo perché il necessario quadro politico era già stato lacerato da un nuovo gruppo Tuareg chiamato il Movimento  Nazionale per la Liberazione del Azawad (MNLA). Il MNLA ha cacciato alcuni dei Tuareg della "vecchia guardia", tra cui il veterano leader Iyad Ag Ghali, e ha deciso di riavviare la lotta contro il governo di Bamako. I soldati perfettamente addestrati provenienti dalla Libia sono stati funzionali allo scopo.

Guerra in Mali © Infophoto

SECONDO: I RIBELLI SONO UNA COALIZIONE ANOMALA E ETEROGENEA
E' abituale nei resoconti dei media vedere i combattenti del nord descritti come "i ribelli" o anche "i terroristi". Anche se è una scorciatoia utile, ciò non è del tutto vero perché implica una sorta di coesione, un'organizzazione coordinata in cui si lavora per gli stessi obiettivi. La verità è più complicata. "I ribelli" sono in realtà una coalizione liquida, sempre mutevole in cui ci sono quattro principali gruppi ribelli, che hanno ciascuno diversi obiettivi e motivazioni.

Cominciamo con l'MNLA, l'avanguardia della ribellione; la sua offensiva iniziale ha obbligato l'esercito sgangherato del Mali ad abbandonare la maggior parte del nord del paese, dove l'MNLA ha poi dichiarato una repubblica indipendente chiamata Azawad (riconosciuta da nessuno). Il MNLA è il simbolo del nazionalismo Tuareg; certo, è evidente una fedeltà agli ideali islamici ma l'MNLA mette il nazionalismo prima della religione. Poiché la situazione si è evoluta nel corso dell'ultimo anno, l'MNLA è stato messo ai margini da gruppi islamici meglio organizzati - che non hanno avuto paura di attaccare roccaforti dell'MNLA - ed è effettivamente stato tagliato fuori. Ora promette di lavorare con le forze internazionali per riprendere il nord del Mali, in mano agli islamisti.

Poi c'è Ansar Dine, che è il più forte gruppo islamico in termini di sostegno popolare e di territorio controllato. E' guidata da Iyad Ag Ghali - il leader Tuareg emarginata dall'MNLA. E' un gruppo fondamentalista, ha imposto la Sharia (più per opportunismo politico che per reale convinzione). Ansar Dine ribadisce che il suo obiettivo è quello di controllare l'intero paese e di trasformarlo in uno Stato islamico. I legami tra Ansar Dine e gli altri gruppi islamisti non sono chiari; certamente Ansar Dine ha collaborato a stretto contatto con loro in passato e continua a farlo, ma sembra più disposto al negoziato.

C'è anche il Movimento per l'Unità e la Jihad in Africa Occidentale (Mujwa), un nuovo gruppo piuttosto oscuro guidato dal famigerato contrabbandiere sultano Ould Baddy. Si tratta di un ramo di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), nato quando Ould Baddy è stato ignorato come possibile capo di AQIM. Da allora AQIM e Mujwa hanno stabilito una tregua, lasciando il Mujwa libero di fare quello che sa fare meglio: usare il suo profilo religioso e politico come copertura per attività criminali, in particolare traffico di droga e, eventualmente, tratta di esseri umani. Almeno questo è il forte sospetto: è difficile dimostrare qualsiasi cosa nel deserto del Mali in questo momento.

Infine, c'è l'AQIM stessa. E' attiva in Mali dal 2003. Da quando la ribellione si è intensificata, aiuta Ansar Dine a governare le principali città del nord. Tuttavia, AQIM è ancora attiva anche altrove: è stato uno dei principali comandanti di AQIM, Mokhtar Belmokhtar, che ha rivendicato la responsabilità per l'attacco della scorsa settimana in Algeria.

La natura frammentata dei ribelli nel nord è e sarà uno dei maggiori ostacoli a ogni possibile soluzione: è difficile negoziare quando non si sa esattamente con chi si deve negoziare.

TERZO: IL GOVERNO DEL MALI E' ILLEGITTIMO QUANTO I RIBELLI
La Francia, nel difendere il suo intervento militare in Mali, si riferisce alla disperata richiesta di assistenza ricevuta dal presidente ad interim del Mali, Dioncounda Traore. Tecnicamente, la Francia potrebbe avere ragione, ma vale la pena di riflettere sulla legittimità o meno del primo ministro del Mali e del suo governo.

Nel marzo dello scorso anno, poco prima delle previste elezioni nazionali, il presidente Amadou Toumani Toure è stato rovesciato da un colpo di stato militare, guidato da ufficiali dell'esercito. Le elezioni sono state annullate, e sotto la pressione della comunità internazionale, l'esercito ha nominato un governo civile ad interim guidato da Traore. Il primo premier di Traore è stato Cheikh Modibo Diarra, ex capo di Microsoft Africa.

Questo non significa che i militari - lo stesso esercito che aveva fallito così miseramente nel proteggere il nord - abbiano rinunciato a prendere il potere. Traore è stato gravemente ferito quando l'esercito non è riuscito a proteggerlo da una folla inferocita. La folla ha preso d'assalto il palazzo presidenziale. Traore ha passato due mesi a Parigi in convalescenza. Diarra, nel frattempo, ha resistito solo fino a quando non si è scontrato con i veri leader del colpo di stato. E' stato cacciato in quello che è stato effettivamente un altro colpo di stato.

Il risultato di tutto questo è che il Mali non ha una leadership rappresentativa. Mentre il nord è diviso tra i gruppi ribelli, il sud è lacerato da divisioni politiche e dall'influenza eccessiva dell'esercito.

QUARTO: AL QAEDA IN MALI IN REALTA' NON C'E'
Non fatevi confondere dal nome: al-Qaeda nel Maghreb islamico non è la stessa al-Qaeda di Osama bin Laden. Consideratela una operazione di franchising: al-Qaeda si impegna a lasciare AQIM usare il suo nome per aumentare la sua influenza globale, mentre il vantaggio per AQIM è quello di avere il più spaventoso nome nel settore del terrorismo. In realtà, AQIM è il successore di un gruppo islamico algerino che è stato distrutto dalle autorità algerine, e la maggior parte della sua leadership è, per l'appunto, algerina. Il suo obiettivo principale è l'imposizione della Sharia nella regione del Sahel, e in particolare in Algeria. Tatticamente però ha imparato molto da al-Qaida, e rapimenti e attentati suicidi sono nel suo repertorio.

Quindi è inesatto parlare della presenza di al-Qaeda nel Sahel come parte di una grande strategia globale di al-Qaeda di espansione, come è sbagliato inserire il dramma degli ostaggi in Algeria nel contesto di altre operazioni di al-Qaeda come l'11 settembre, o dagli attentati alle ambasciate di Nairobi. E' più corretto inquadrare il dramma degli ostaggi nel contesto della storica presenza in Algeria di una forte opposizione islamista. Aspettatevi di sentire sempre di più questa generalizzazione riguardo al-Qaeda. Il Mali diventerà un altro capitolo nella "guerra al terrore", perché i media cercano di semplificare la situazione.

QUINTO: L'AFRICA HA UN SUO PIANO PER METTERE ORDINE IN QUESTO CAOS
L'Africa non stava girandosi i pollici aspettando che la Francia facesse il primo passo e risolvesse il pasticcio del Mali. C'era un piano proposto dall'Ecowas (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale), approvato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Questo piano prevedeva un intervento armato della Forza di intervento Africana, che conta poco più di 3.000 soldati, per aiutare l'esercito del Mali a riconquistare il territorio che aveva perso e per affrontare con decisione i vari gruppi ribelli. L'idea era quella di procedere lentamente ed esplorare per prima cosa tutte le possibili soluzioni politiche. Si voleva  anche a dare il tempo ai militari maliani di trovare la strategia più efficace. L'impiego di truppe era previsto soltanto per agosto 2013. Può apparire un piano eccessivamente cauto, ma militari e politici erano convinti che un intervento immediato avrebbe fatto più male che bene, soprattutto perché non c'è stata una fase di negoziazione.

"La negoziazione è il modo migliore" ha detto il generale Carter Ham, capo del Comando delle forze armate Usa in Africa. "L'intervento militare può essere un passo necessario. Ma affinché l'intervento militare possa avere successo, non deve essere fatto prematuramente".

La situazione è cambiata con l'avanzamento rapido e inaspettato dei ribelli nel sud del Mali, con realistiche minacce di conquistare la capitale Bamako. Il governo preso dal panico ha chiesto rinforzi immediati, forniti dalla Francia. Il contingente dell'Africa occidentale si è preparato in fretta ma ha raggiunto Bamako solo la scorsa settimana - senza i negoziati e senza tutti i preparativi che, nelle speranze di tanti osservatori internazionali, avrebbero potuto rendere più probabile una soluzione positiva del conflitto. Fonte: The Guardian

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