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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Il figlio di Pablo Escobar: "Ringrazio mio padre che mi ha mostrato la strada da non seguire"

Per la prima volta in Italia, Juan Pablo Escobar ha raccontato al pubblico di LibriCome chi era suo padre, mettendo in guardia dal rischio di mitizzazione delle sue gesta criminali dopo il successo delle serie tv che raccontano la vita del re dei narcos. "Tutti quelli che raccontano la storia di Pablo Escobar devono essere responsabili. Con i miei due libri ho scritto 700 pagine di ragioni per cui questa storia non deve ripetersi".

Porta un nome pesante, Juan Pablo  Escobar. Suo padre è stato uno dei più sanguinari criminali della storia recente, quel Pablo Escobar, il re del narcotraffico colombiano, tornato prepotentemente alla ribalta a 23 anni dalla sua morte grazie alle serie tv che ne hanno fatto un personaggio di costume, un pericoloso modello da imitare.

Per la prima volta in Italia, Escobar jr. ha parlato della sua storia a Libri Come. L'incontro-intervista con Giancarlo De Cataldo è stato uno degli eventi di punta di questa ottava edizione della kermesse romana, che ha totalizzato più di 23mila presenze, come hanno confermato a margine dell'incontro l'ad di Musica per Roma Josè R. Dosal e Marino Sinibaldi, curatore della manifestazione con Rosa Polacco e Michele De Mieri. Nei suoi due libri, pubblicati entrambi in Italia da Newton Compton, Juan Pablo Escobar compie un grande autocritica su suo padre e prende le distanze mondo che egli ha rappresentato. 

 "Avevo 7 anni quando mio padre mi confessò di essere un bandito e di essere il responsabile della morte del ministro della Giustizia Rodrigo Lara Bonilla", dice Escobar, la voce ferma nel raccontare un episodio che ha segnato profondamente la sua vita . "È stato un uomo buono con me, ma molto cattivo fuori di casa. Era una contraddizione permanente, ha mostrato quali estremi può raggiungere un uomo. Mio padre ha sprecato la sua intelligenza votandosi al crimine e alla violenza. Mi diceva che dovevo approfittare delle opportunità che avevo e che lui non aveva avuto. Era brutale ma mi ha cresciuto in casa con quegli stessi valori che mi hanno insegnato che la sua vita non era degna di essere imitata. Ringrazio mio padre che mi ha mostrato la strada da non seguire".

"Quando è morto avrei voluto vendicarlo e seguire la sua strada. Ma quando ho pensato a come mettere in atto questa vendetta ho avuto paura. Non avevo mai voluto trasformarmi in lui, ricordo ancora quante volte gli ho chiesto di smettere. Ho rischiato di essere come lui. Se avessi fatto scelte diverse, a quest'ora - ne sono sicuro - sarei morto. E non voglio che mio figlio abbia questo lascito di violenza".

Dopo la morte di Escobar e aver stretto un accordo con il cartello rivale di Cali promettendo di lasciare la Colombia e il mondo della droga, Juan Pablo Escobar si è rifugiato in Argentina, ha cambiato nome, è diventato architetto. Ha incontrato le vittime di suo padre, ha chiesto scusa, gira il mondo per raccontare chi è stato veramente Pablo Escobar e critica il proibizionismo nei confronti della droga. "Il figlio del presidente della Repubblica colombiana Galàn (ucciso nel 1989 durante un comizio pubblico per ordine di Escobar, ndr) ha detto: 'Ad uccidere mio padre non è stato Escobar, ma il proibizionismo'. Avrebbe potuto difendere il proibizionismo, eppure ha guardato con altri occhi all'inizio di questa tragedia. Se mio padre fosse morto all'inizio degli anni '80, ci sarebbe stato un altro narcos ad uccidere Galàn". Il narcotraffico "è un istituzione parallela allo Stato, con una capacità di corruzione inimmaginabile. Questo è il risultato del proibizionismo", dice. Suo padre lottò per evitare l'estradizione negli Stati Uniti ("Meglio una tomba in Colombia che una cella in America", diceva), oggi i narcos "trattano direttamente con la giustizia americana", barattando pochi anni di carcere in cambio molti soldi. "Il crimine paga se hai un buon avvocato", ammette amaro. 

Impossibile non parlare delle serie tv "Narcos", Escobar usa parole dure: "Rispetto il loro lavoro, ma la storia non è fedele alla realtà". Il pericolo maggiore è quello di spettacolarizzare la violenza e creare emulazione. "I ragazzini mi scrivono, mi mandano le loro foto vestiti come mio padre, parlano come lui, 'plata o plomo', 'voglio essere come lui'. Tutti quelli che raccontano la storia di Pablo Escobar devono essere responsabili. Con i miei due libri ho scritto 700 pagine di ragioni per cui questa storia non deve ripetersi". 

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