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Venerdì, 19 Aprile 2024
MEDIO ORIENTE / Iraq

Obama rinuncia (per ora) ai raid aerei sull'Iraq

Il presidente americano ha deciso di non optare per un attacco immediato per contrastare l'avanzata dei ribelli sunniti dell'Isil, puntando su un "approccio onnicomprensivo" che passi da un governo di unità nazionale a Baghdad

Non ci saranno raid aerei americani in Iraq, almeno per ora. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di non optare per un attacco immediato per contrastare l'avanzata dei ribelli sunniti dell'Isil, scegliendo invece un approccio strategico, fornendo l'assistenza dell'intelligence ai militari iracheni, affrontando politicamente le divisioni politiche e cercando il sostegno degli alleati regionali.

Il presidente americano oggi incontrerà i leader repubblicani e democratici del Congresso, per discutere del nuovo "approccio onnicomprensivo", com'è stato definito dai funzionari della Casa Bianca. Obama vuole evitare gli attacchi aerei perché gli Stati Uniti non hanno al momento sufficienti informazioni per colpire gli obiettivi; inoltre, il nuovo approccio servirà ad affrontare direttamente le cause della rivolta sunnita e della mancanza di unità e professionalità tra le forze militari irachene.

"Quello su cui il presidente è concentrato è una strategia onnicomprensiva, non solo una veloce risposta militare" ha detto un funzionario della Casa Bianca al Wall Street Journal. "Anche se potenzialmente potrebbe esserci una componente militare, si tratta di uno sforzo molto più ampio" ha aggiunto.

Casa Bianca e Pentagono, del resto, condividono lo scetticismo nei confronti dell'efficacia di un'immediata azione aerea e, al contrario, stanno considerando l'invio di forze speciali che aiutino le forze irachene con informazioni d'intelligence e consigli sul campo di battaglia, nella speranza che sia sufficiente per aiutare i militari a lanciare una controffensiva. Al vaglio della Casa Bianca, naturalmente, anche il sostegno dei Paesi dell'area, anche se non sarà semplice ottenerlo, vista la divisione settaria che anima i vicini dell'Iraq.

Iraq 2003 - 2013, 10 anni dopo la guerra

La strategia da adottare per l'Iraq finisce per coinvolgere anche la Siria, lo Stato confinante dove l'Isil sta combattendo la guerra civile con l'obiettivo di creare nei due Paesi un unico califfato islamico. Ogni decisione, insomma, dovrà essere presa anche considerando le possibili conseguenze in Siria.

Qualsiasi azione militare statunitense, comunque, è legata all'impegno del primo ministro iracheno, Nuri al-Maliki, a creare un governo di unità nazionale, come chiesto anche pubblicamente dal presidente Obama. Maliki, ampiamente sostenuto in questi anni dagli Stati Uniti, è ormai diventato un leader scomodo per Washington, incapace di stabilizzare il Paese e inviso a molti governi dei Paesi vicini.

COMPAGNIE PETROLIFERE INIZIANO A LASCIARE L'IRAQ

Le compagnie petrolifere stanno evacuando i propri impianti nell'Iraq meridionale per ragioni di sicurezza, ma la produzione al momento non ha subito flessioni, visto che i ribelli sunniti sono impegnati nella parte settentrionale del Paese. A riportarlo sono la Cnn e altri organi d'informazione. La ExxonMobil sta portando avanti "una grande evacuazione", mentre British Petroleum ha portato via il 20% del suo staff. Il gigante petrolifero malese, Petrobas, ha deciso di far partire 28 dei 166 impiegati in Iraq.

Anche i cinesi di PetroChina, il singolo investitore più importante nel settore petrolifero in Iraq, stanno portando via lo staff "non essenziale". Secondo quanto riportato dall'irachena South Oil Company, altre aziende petrolifere, tra cui l'Eni, non avrebbero invece in programma un'evacuazione, visto che il governo controlla saldamente la regione.

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