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Martedì, 23 Aprile 2024
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Elezioni in Spagna, rebus governo: popolari primi ma senza maggioranza

Dalle urne emerge un panorama immutato rispetto al voto del dicembre scorso e si prospetta un nuovo rompicapo per la formazione del governo. Delude Podemos

Elezioni in Spagna atto secondo: che somiglia molto all'atto primo, dal momento che sulla scena del teatro della politica spagnola ritorna in blocco la stessa compagnia a recitare, con qualche minima variante, le stesse parti. E salvo grandi cambiamenti nella sceneggiatura, la commedia rischia di non finire qui.

Con le legislative di ieri, il Partido Popular del premier uscente Mariano Rajoy si conferma prima forza, migliorando i risultati dello scorso 20 dicembre, ma sempre lontanissimo dalla maggioranza assoluta; a sinistra il Partito Socialista resiste all'annunciato sorpasso della coalizione Unidos-Podemos, perdendo qualche seggio, ma migliorando le percentuali di voto, mentre quarta forza - tuttavia con minor peso negoziale - rimane Ciudadanos (C's), che ha visto voti e seggi trasferirsi verso la sponda "istituzionale" della destra rappresentata dal Pp.

In poche parole, la campagna di polarizzazione portata avanti sia dal Pp che da Podemos ha visto premiato a destra il primo (a danno di C's, percepito dall'elettorato come rimasto in terra di nessuno, senza un chiaro orientamento in termini di alleanze postelettorali) e a sinistra i socialisti, al cui leader Pedro Sanchez (che grazie al mancato sorpasso salva il posto) finalmente sembra essere stata riconosciuta la buona volontà negoziale dimostrata sei mesi fa; e Unidos-Podemos è passata da grande speranza radicale a lupo cattivo che molti elettori, a destra e a sinistra, hanno fatto di tutto per scongiurare.

Elezioni, Spagna a rischio caos

Lo scenario che ne risulta differisce di poco da quello del 20 dicembre: il Pp - impermeabile a scandali e intercettazioni e forse aiutato dalla Brexit - guadagna forza negoziale a danno di C's, ma rimane costretto ad un'alleanza per poter governare e al momento rimane altrettanto isolato rispetto a sei mesi fa; anche se è vero che a questo punto il partito di Albert Rivera potrebbe essere meno ostile ad un appoggio, dato che non ha grandi speranze di poter essere decisivo altrimenti, se non lasciando che governi la sinistra.

Unidos-Podemos da parte sua non ha altre porte a cui bussare se non quella del Psoe, che come prima forza della sinistra potrebbe cercare di riproporre l'asse a tre con Ciudadanos già bocciato sei mesi fa: rispetto ai sondaggi e agli exit poll infatti la somma di U-P e del Psoe rimane lontana dalla maggioranza assoluta e occorre un terzo socio per poter superare i 176 seggi o (se C's si astenesse in sede di fiducia) raggiungere la maggioranza semplice .

Un quadro dunque già visto. E che non promette soluzioni in tempi rapidi salvo che qualcuno non rinunci alle "linee rosse" tracciate alla vigilia - che rispecchiano di fatto quelle dei rispettivi elettorati: chiave di volta sembra essere il Psoe, che può scegliere se permettere al Pp di governare o cercare una difficilissima coalizione "progressista" a tre (la somma dei soli socialisti e C's rimane sotto il Pp, a meno di non sommarvi l'appoggio dei vari partiti nazionalisti catalani e baschi, altamente improbabile se non in cambio di concessioni già escluse a priori sul referendum di autodeteminazione).

Ecco dunque gli scenari possibili. Allo stato, le possibilità di un esecutivo a due che superi i 176 seggi è essenzialmente una sola: un governo di grande coalizione tra il Partito Popolare (Pp) e i socialisti (Psoe). Questa è però una delle "linee rosse" che il Psoe si è impegnato a non varcare: permettere al premier uscente Mariano Rajoy di tornare alla Moncloa per un terzo mandato, oltretutto con un sostegno in questo caso diretto; difficile che l'elettorato socialista mandi giù senza protestare una simile proposta, per quanto "responsabile" possa essere. Per quanto riguarda l'ipotesi di un governo di minoranza, va qui ricordato che in sede di fiducia dopo la prima votazione conta la maggioranza semplice, dunque entrano in gioco anche le astensioni; e che, dato il meccanismo della fiducia costruttiva - che impone l'indicazione di un nuovo premier con una nuova maggioranza - una volta insediato un esecutivo provocarne la caduta è molto difficile (l'operazione è stata tentata solo due volte e non è mai riuscita).

A destra, il Pp conserva e anzi rafforza la sua maggioranza relativa, ma non ha praticamente speranze di poter governare da solo: come sei mesi fa servirebbe l'astensione del Psoe, anche in caso di coalizione con Ciudadanos (che si fermerebbe a 169 seggi su una maggioranza di 176, anche se meglio dei 163 dello scorso dicembre). Inoltre, C's ha finora posto come condizione per qualsiasi accordo l'esclusione di Rajoy dalla candidatura alla Moncloa, e non è probabile - per non dire impossibile, dopo aver ottenuto un risultato migliore a quello passato - che il Pp accetti l'imposizione dall'esterno di un cambio di leader in corso d'opera pur di mantenersi al governo.

A sinistra - fallito il sorpasso di Unidos-Podemos sul Psoe - la somma dei seggi è addirittura inferiore: appena 156 (contro i 161 di dicembre e i 174 del caso peggiore profetizzati da sondaggi ed exit poll); servirebbe quindi o un'astensione oppure il sostegno attivo di Ciudadanos in una formula a tre già proposta dal Psoe - e bocciata dagli aspiranti e incompatibili alleati sei mesi fa.

Nel complesso, si ripresenta un rompicapo difficilmente risolvibile a meno che i partiti non rinuncino a delle condizioni fin qui ritenute intoccabili, anche senza l'aggravante di un sorpasso che avrebbe di molto ridotto l'incentivo del Psoe a una coalizione progressista da cui poteva uscire fagocitato in caso di buona gestione e screditato in caso contrario. Rimane la possibilità di un governo di unità (più o meno larga) a termine, probabilmente con l'obbiettivo di procedere a delle riforme costituzionali in grado di disinnescare anche la questione catalana: na simile soluzione dovrebbe essere caldeggiata in primis dalla Corona, che ha finora mantenuto un atteggiamento di assoluta neutralità. Inoltre, per questo genere di riforme entrerebbe in gioco anche il Senato, dove il Pp - che non ha finora espresso alcuna velleità riformatrice - ha confermato una solida maggioranza che rischierebbe di bloccare l'intero processo.

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