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Venerdì, 19 Aprile 2024
CINA

Cina, la rivolta del proletariato: ondata di scioperi

Migliaia di lavoratori della Yue Yuen sono in sciopero da due giorni: ferma la produzione di Nike, Puma, e altri giganti. Braccia incrociate anche in altri stabilimenti. I dipendenti chiedono migliori condizioni di lavoro e l'assistenza sociale, l'azienda li ignora (per ora)

ROMA - Dieci anni fa gli era stata concessa una pausa, breve, per salutare Michael Jordan. Quel campione Nba arrivato fino in Cina per ammirare dal vivo le scarpe Nike che portavano il suo nome e l'immagine di quel salto diventato poesia, leggenda. Negli occhi dell'americano al ritorno, però, c'era altro: operai stanchi, bimbi dietro le macchine per cucire e donne costrette a orari massacranti. Evidentemente non bastò Michael: dopo di lui tutto tornò come prima. Un po' perché il padrone, in Cina più che in altre parti del mondo, ha sempre saputo fare il suo "mestiere". Un po' perché, solo qualche anno prima, in piazza Tienanmen si era combattuto per tanti diritti, dimenticando o quasi quello ad un lavoro "normale". Oggi, però, il vento è cambiato. La Cina è una potenza economica mondiale, la Cina è la potenza economia mondiale: più del Giappone, più degli Usa. E oggi i lavoratori hanno deciso di presentare il conto: i "servi" hanno deciso di sfidare i "padroni". 

Così nello stabilimento che accolse Jordan, si protesta da due giorni. Migliaia di dipendenti della Yue Yuen di Dongguan, nel Sud del paese, con le braccia incrociate per chiedere condizioni di lavoro migliori. C'avevano provato lo scorso cinque aprile, inutilmente: ci stanno riprovando da ieri e sembrano intenzionati ad andare avanti. Vorrebbero tanto, si accontenterebbero del pagamento delle assicurazioni e della previdenza sociale. Perché, al momento, manca anche quello. Gran parte dei lavoratori - in tutto sessantamila - sono immigrati da altre province e in base alla legge cinese non possono portare nell'altra provincia la loro assicurazione sociale statale co-pagata da lavoratori e dall'azienda, a meno che non sia pagata una quota supplementare. Quota supplementare che i lavoratori non possono pagare e i vertici aziendali non vogliono pagare. Possibile, però, che prima o poi, i secondi comincino a riflettere sul serio. Perché se nel 2011 - durante un altro periodo di sciopero - l'azienda aveva sbeffeggiato i propri dipendenti con un serafico "Le manifestazioni hanno un basso impatto sulla produttività", oggi sembrano spaventati. La paura è che il gruppo, che produce scarpe per Nike, Crocs, Adidas, Puma, Timberland e altri, non riesca a soddisfare le richieste dei clienti finali. Il che, evidentemente, sarebbe un colpo pesante. Ma tant'è: questa volta i lavoratori non sembrano disposti a mollare. 

Anche perché il loro è solo uno dei focolai della protesta cinese. Nel mese scorso, mille lavoratori della Ibm di Shenzen avevano manifestato contro i licenziamenti, la Focxonn - azienda che costruisce Iphone - era stata bloccata da due giorni di sciopero e la Pepsi era stata "minacciata" dai propri dipendenti per i tagli al personale e allo stipendio. Jordan è andato via, ma il vento è cambiato. 

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