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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Turchia, la vendetta senza fine di Erdogan: "Stato d'emergenza per tre mesi"

Continuano senza sosta le epurazioni tra insegnanti, rettori, polizia, esercito, giustizia e media: già oltre 55.000 persone sono finite sotto la scure di Erdogan, che dice: "Non abbiamo ancora finito"

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato l'instaurazione dello stato d'emergenza per tre mesi, dopo il fallimento del golpe di venerdì scorso, mentre continuano senza sosta le epurazioni tra insegnanti, rettori, polizia, esercito, giustizia e media: già oltre 55.000 persone sono finite sotto la scure della vendetta del leader turco. Che ieri sera, in una intervista ad Al Jazeera dopo la riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, ha annunciato: "altri nomi arriveranno nei prossimi giorni. Non abbiamo ancora finito", pur assicurando che la Turchia "non si allontanerà mai dal sistema della democrazia parlamentare".

Intanto altri 6.500 dipendenti del ministero dell'Istruzione sono stati sospesi e le università hanno "accettato" la richiesta di dimissioni di oltre 1.500 presidi di facoltà, perché ritenuti vicini agli ambienti in cui è maturato il piano di golpe, fallito lo scorso venerdì. La notizia conferma la portata, enorme, dell'epurazione in corso tra accademici, insegnanti e in generale impiegati del settore, nel mirino delle purghe lanciate all'indomani del tentativo di putsch con il dichiarato obiettivo - lo ha detto il presidente Recep Tayyip Erdogan - di "estirpare il virus" della rivolta, ovvero la presenza dei "gulenisti", gli affiliati o comunque simpatizzanti dell'influente imam Fethullah Gulen.

Il settore dell'istruzione è finito pesantemente sotto la scure da ieri, quando il Consiglio superiore dell'insegnamento, l'organo che controlla l'organizzazione universitaria, ha chiesto le dimissioni di oltre 1.500 rettori - prontamente arrivate - e di decani universitari. Il governo da parte sua aveva chiesto, vedi ordinato, la sospensione di 15.200 dipendenti.

"Le università sono sempre state cruciali per i putsch in Turchia e in questi ambienti ci sono persone considerate in contatto con cellule militari", ha spiegato un funzionario turco dietro garanzia di anonimato. Secondo la tv di Stato TRT, già 95 accademici sono stati rimossi dai loro incarichi solo all'Università di Istanbul. Stasera Anadolu ha comunicato anche l'allontanamento di quattro rettori - delle Università di Yildiz, Gazi, Dicle e Yalova - sospesi "per il benessere delle diverse inchieste che vengono effettuate".

Il Consiglio per l'Istruzione superiore turco (Yok) ha intanto vietato fino a nuovo ordine tutte le missioni all'estero dei professori universitari, mentre gli accademici che si trovano fuori dal Paese dovranno essere richiamati nel più breve tempo possibile.

Ma la 'vendetta' post-golpe è pesante anche sulla giustizia e inevitabilmente feroce con i militari: di oggi la notizia della formale messa in stato di accusa di 99 generali, arrivata mentre Erdogan incontrava ad Ankara i comandanti "fedeli" dell'esercito e il governo. Sono numeri signficativi. Le accuse di implicazione nel piano per destituire Erdogan riguardano "un'ampia fetta" dei vertici delle forze armate, visto che in totale i generali sono 360.

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Il conteggio degli epurati sale di ora in ora. E oltre alle migliaia nel mondo dell'insegnamento comprende oltre 7.500 militari e giudici, quasi 9mila poliziotti, prefetti e ufficiali della gendarmeria, almeno un centinaio i membri dell'intelligence sospesi.

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In questo clima di crescente tensione, Erdogan ha presieduto le riunioni del Consiglio di sicurezza nazionale e del consiglio dei ministri ad Ankara, dove è tornato per la prima volta dopo il fallito colpo di stato di venerdì. C'era grande attesa per una "importante decisione" che il Consiglio di sicurezza avrebbe dovuto prendere, ma che per ora non è stata annunciata: le voci sono per la dichiarazione dello stato d'emergenza.

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Un quadro che allarma la Comunità internazionale, anche se per il momento il presidente turco sembra deciso a fare orecchie da mercante e tenere ingranata la marcia veloce per un generale 'repulisti'.

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