rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Isil

"Obama, perché devo pagare io?": le ultime parole del giornalista decapitato

Steven Sotloff, il giornalista Usa giustiziato in Siria, parla ad Obama prima di andare incontro al suo destino: "Ci hai spinto ingannevolmente nel fuoco ardente". Il boia al presidente Usa: "Sono tornato per te"

ROMA - Un pugnale alla gola e il triste rituale, lo stesso del quale era stato spettatore durante l'esecuzione di James Foley, che si prepara ad andare in scena. Steven Joel Sotloff, il giornalista americano rapito in Siria nell'agosto del 2013 e decapitato lunedì dai miliziani dell'Isis, sapeva che stava per morire. Ne era sicuro. E le ultime parole, impossibile dire quanto realmente sue, le ha volute affidare - come in una sorta di testamento in un video dell'orrore - alla sua America e a quella di Barack Obama. 

"Sono Steven Joel Sotloff. Sono sicuro che sapete esattamente chi sono, adesso, e perché sto comparendo dinnanzi a voi - esordisce il reporter nel video che mostra la sua esecuzione - E ora, è il tempo per il mio messaggio: Obama, la tua politica estera e il tuo intervento in Iraq dovevano essere per la conservazione della vita e degli interessi americani. E allora perché devo essere io a pagare il prezzo di questa interferenza con la mia vita? Non sono anche io un cittadino americano? - si chiede stremato il giornalista - Avete speso miliardi di dollari delle tasse di contribuenti americani per spedire migliaia di nostri soldati nelle nostre precedenti guerre contro lo Stato Islamico, quindi qual è l’interesse della gente nel riaccendere una guerra? Per quel poco che so di politica estera, mi ricordo un tempo in cui non avresti potuto vincere un’elezione senza la promessa di riportare le nostre truppe a casa dall’Iraq e dall’Afghanistan, e di chiudere Guantanamo. Ed eccoti qui, Obama - conclude Sotloff - verso la fine del tuo mandato, non avendo mantenuto niente di quanto promesso e spingendo ingannevolmente noi, il popolo americano, nel fuoco ardente". 

Dopo, come mostra il filmato "A second message to America", a prendere la parola è il boia, probabilmente lo stesso di Foley, il primo giornalista giustiziato il diciannove agosto scorso. "Sono tornato, Obama - dice subito con un accento terribilmente simile a quello del primo giustiziere - e sono tornato a causa della tua arrogante politica estera nei confronti dello Stato Islamico, per la tua persistenza nel continuare i bombardamenti a dispetto dei nostri seri avvertimenti. Tu, Obama, hai solo da guadagnare dalle tue azioni, ma non un altro cittadino americano". E ancora, l'avvertimento sinistro: "Fino a che i vostri missili continuano a colpire la nostra gente, il nostro coltello continuerà a colpire i colli del vostro popolo. Cogliamo l’opportunità - conclude il boia mostrando un prigioniero britannico - di avvisare quei governi che si uniscono alla malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico di ritirarsi e di lasciare in pace la nostra gente".

Altre parole, altrettanto drammatiche, erano arrivate una settimana fa da Shirley Sotloff, la madre del giornalista ucciso. "Sto inviando questo messaggio a lei, Abu Bakr al-Baghdadi al-Quraishi al-Hussaini, il califfo dello stato islamico. Sono Shirley Sotloff - aveva esordito la donna, visibilmente emozionata - Mio figlio Steven è nelle sue mani. Lei, califfo, può garantirgli l'amnistia. Le chiedo di liberare mio figlio. Le chiedo di usare la sua autorità per risparmiare la sua vita, le chiedo di essere misericordioso e di non punire mio figlio per questioni di cui non ha il controllo". Tutto drammaticamente inutile.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

"Obama, perché devo pagare io?": le ultime parole del giornalista decapitato

Today è in caricamento