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Sabato, 20 Aprile 2024
RIFORMA DEL LAVORO

Jobs act, via libera alla Camera: ma il Pd è "a pezzi"

La riforma lavoro del governo Renzi ha ottenuto il via libera della Camera: il testo ora al Senato. Pd spaccato in tre: la maggioranza dice sì, la minoranza non vota e cinque onorevoli dicono no. Rabbia cinque stelle: "E' il Licenziact"

ROMA - Appello all'unità caduto miseramente nel vuoto. Ma obiettivo comunque raggiunto. Senza il ricorso alla fiducia da parte del governo, nel pomeriggio di martedì la Camera dei deputati ha detto sì al Jobs Act. Il testo, approvato a Montecitorio con 316 sì, 6 no e 5 astenuti, tornerà ora al Senato. I numeri, non risicati ma comunque non esaltanti, descrivono bene la giornata di proteste e "paure" che ha vissuto l'Aula, con le opposizioni che al momento del voto hanno lasciato i banchi, non esprimendo la propria preferenza. 
 
PD DIVISO IN TRE E "LICENZIACT" - A favore hanno votato la maggioranza di Pd, Ncd, Per l’Italia e Scelta civica. Hanno annunciato in aula il loro voto contrario M5s, Fi, Sel e Lega che poi, però, hanno abbandonato l’Aula. Insieme a loro una trentina di deputati del Pd, in disaccordo con un'ulteriore fetta di Partito democratico. L’area che fa capo a Pippo Civati, tra i tre e i cinque deputati, ha infatti votato contro il Jobs act, mentre un gruppo più nutrito - almeno una trentina di onorevoli - non ha partecipato alla votazione, come annunciato in un documento presentato in mattinata. Tra i firmatari figurano Cuperlo - sempre più leader della minoranza dem - Bindi, Boccia, Zoggia, D’Attorre. Non sono mancati i momenti di agitazione durante le dichiarazioni di voto, con alcuni spettatori con addosso magliette rosse della Fiom che si sono avvicinati al parapetto e sono stai allontanati dai commessi. Commessi mobilitati anche per i Cinque Stelle, che dopo l’intervento del collega Davide Tripiedi, hanno esposto cartelli con la scritta "Licenziact".

L'APPELLO DI ORFINI - Caduto nel vuoto, insomma, l'appello del presidente Pd, Matteo Orfini, che prima del voto aveva sperato in una direzione unitaria del partito. "Siamo alle battute finali. So che c'è stata una riunione della minoranza, ma non so come andrà a finire, non ho ricevuto alcuna indicazione dai colleghi che si sono riuniti nel pomeriggio. Voglio sperare - aveva auspicato - che prevalga l'unità nel partito". 

COSA CAMBIA - Così non è stato, ma per il governo poco o nulla è cambiato, con il Jobs act che ha superato il primo esame. L'esecutivo adesso punta al via libera finale entro il nove dicembre per poi varare i decreti e rendere operativa la riforma dai primi giorni del 2015. La vera grande novità della riforma del lavoro, quella che sostanzialmente ha spaccato il Pd, è la modifica dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Dopo l'intervento del governo Renzi, infatti, per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti - previsto sempre dal Jobs act - sarà possibile, in caso di licenziamenti senza giusta causa, chiedere il reintegro solo per discriminazione. Qualora il licenziamento fosse per motivi disciplinari il reintegro sarà ammesso solo in alcune fattispecie, da specificare in sede di decreti delegati. Il lavoratore avrà invece diritto a un indennizzo in denaro, ma non al reintegro, se il licenziamento avverrà per ragioni economiche. Un articolo 18 diverso da quello conosciuto fino ad ora. Molto diverso. 

VIDEO | Jobs Act, protesta grillina alla Camera: "E' LicenziAct"

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