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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Crisi di governo, il riassunto: cosa è successo fino a oggi in sintesi

Il presidente della Repubblica chiave di volta per la soluzione del rebus: dopo la crisi aperta l'8 agosto da Matteo Salvini è stato l'altro Matteo, l'ex premier Renzi, a sollecitare la nascita di una nuova maggioranza retta dall'alleanza tra M5s e Pd

Il Pd tratta col M5s ma sarà difficile dar vita a un governo MaZinga - come già è stato ribattezzato il Conte bis - di matrice giallorossa. I due partiti infatti scontano divisioni interne mentre - come anche è trapelato dalle ultime consultazioni - sarà tutt'altro che facile trovare un programma omogeneo nonostante i numerosi punti di contatto. 

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Ma come è nata la crisi di governo e perché? Tutto inizia il 7 agosto quando durante le votazioni in Senato di una serie di mozioni sulla Tav, viene bocciata la linea del Movimento 5 stelle che chiedeva di bloccare il cantiere della Torino-Lione. La situazione precipita il giorno dopo, 8 agosto, quando il segretario della Lega e vicepremier del governo gialloverde Matteo Salvini ufficializza la volontà della Lega di tornare alle urne rompendo dopo 14 mesi di alleanza con il Movimento 5 stelle.

"Non c’è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav, e restituiamo velocemente la parola agli elettori". 

Il 9 agosto la Lega presenta una mozione di sfiducia: Salvini - come dirà poi Conte - punta ad andare velocemente alle elezioni chiedendo una rapida calendarizzazione del voto di sfiducia e - forte dei sondaggi che fino ad allora lo dipingevano sull'onda del consenso degli italiani - e andare alle elezioni.

Proprio con il voto sulla calendarizzazione della sfiducia a Conte si forma il primo nucleo della nuova maggioranza: il 13 agosto il Senato boccia la proposta del centrodestra di votare la mozione già il 14 agosto, e si fissa la data del 20 agosto per le comunicazioni di Conte a palazzo Madama. Allungando la finestra della crisi si accorciano le date utili per andare al voto visto le imminenti scadenze di Bilancio.

Il 20 agosto il premier Giuseppe Conte si presenta in Senato annunciando le proprie dimissioni. L'intervento di Conte è un atto di accusa durissimo contro Matteo Salvini cui non lesina rimproveri. 

Nel frattempo la Lega fa marcia indietro, si dice disponibile a ricompattare la maggioranza per proseguire con un governo di riforme a partire dal taglio dei parlamentari calendarizzato già a settembre. Ma l’esperienza dell’esecutivo gialloverde è giunta ufficialmente al capolinea. L'apertura formale della crisi di governo si apre con la salita di Conte al Quirinale e il primo giro di consultazioni.

Nel frattempo alla vigilia delle comunicazioni del premier Conte in Senato, i contatti tra Pd e M5s sono andati avanti con discrezione mentre il segretario dem Nicola Zingaretti non sposta di un millimetro il Nazareno dalla posizione ufficiale: governo "forte" o "meglio il voto". Come si vedrà poi il segretario dem dovrà poi rimangiarsi anche il suo esplicito no a un Conte bis in nome di un governo di svolta.

È tuttavia l'ex premier Matteo Renzi a rilanciare l'idea di un governo istituzionale per evitare l'aumento dell'Iva. Forte dei "suoi" 100 parlamentari può dettare la linea al Pd che così cambia diametralmente indirizzo.

Nel tempo che intercorre tra i due giri di consultazioni cade ogni veto del Pd: così giovedì 29 agosto è proprio il premier dimissionario Giuseppe Conte a salire al Quirinale per ricevere dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella l'incarico di formare un nuovo governo: sarà il punto di partenza del Conte bis.

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Secondo la prassi costituzionale il premier incaricato accetterà con riserva per sondare la solidità della nuova maggioranza nata dall'alleanza tra Movimento 5 stelle e Partito Democratico, cui si aggiungeranno i voti dei parlamentari di Liberi e Uguali e la non opposizione annunciata dal gruppo parlamentare delle autonomie e parte di senatori e deputati del gruppo misto.

Il nodo per il nuovo governo è Palazzo Madama: in Senato i parlamentari in quota della maggioranza 'giallorossa' si fermano a quota 158, tre in meno rispetto a quelli che servono per raggiungere la maggioranza (M5s 107 senatori, Pd 51). Considerando che dentro il Movimento c'è quantomeno il dissidente Gianluigi Paragone che non voterà la fiducia al governo giallorosso, diventano determinanti i voti di ogni singolo parlamentare. Potrebbero tuttavia rientrare i senatori ex M5S (Paola Nugnes, Gregorio De Falco, Saverio De Bonis, Carlo Martelli e Maurizio Buccarella) che lasciarono il gruppo parlamentare sulla scia dei contrasti con la linea "salviniana" del Governo.

Alla resa dei conti grazie ai voti dei senatori del gruppo misto (15) e Autonomie (8) il governo giallorosso dovrebbe ricevere tra i 163 e i 171 sì. Occhio tuttavia al fattore Renzi: i senatori dem definiti "renziani" sono 40 su 51, qualificando nell'ex premier un convitato di pietra in ogni futura mediazione tra la segreteria di Zingaretti e i pentastellati.

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