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Martedì, 23 Aprile 2024
Partito democratico

Direzione Pd, guerra tra le correnti

Letta vuole "un partito esigente e un segretario che faccia il segretario lavorando per un Pd vincente". Congresso entro novembre. Delusi i renziani: si va verso la distinzione netta tra segretario e candidato premier

Il congresso ci sarà entro novembre, senza scivolare nel 2014. Un paio di mesi prima, il 14 settembre, l’assemblea nazionale. Non c’è una data precisa ma Guglielmo Epifani, il segretario del Pd, dal palco della direzione nazionale dei democratici ha dettato i tempi: entro l’anno sarà eletto il suo successore.  “Il tempo del congresso è ora. Sulla data del congresso tagliamo la testa al toro. Decidere quando sarà, non spetta al segretario, spetta alla presidenza dell’Assemblea nazionale. Ma io suggerirò di farlo entro la fine di novembre. Il congresso partirà dai congressi di circolo, locali e regionali. Dopo saranno formalizzate le candidature a segretario nazionale”. Subito dopo lancia in orbita il secondo mattone del Pd del futuro: la distinzione netta tra segretario e candidato premier. Non più le due cariche su un’unica persona, ma quella che potremmo definire la separazione delle ‘carriere’.

Epifani, quindi, ha rotto gli indugi provando a dare una carezza a Renzi (presente in direzione) e ai renziani; cercando di rasserenare il clima interno. Sì perché la temperatura dentro e fuori le mura di Largo del Nazareno, nei giorni che hanno preceduto la direzione, si era fatta rovente. ‘Matteo’ (e la ‘sua’ cordata), infatti, ha in testa un’unica data possibile: il 7 novembre, così come previsto da statuto. Una data rimarcata con insistenza, prima di eclissarsi nel silenzio stampa. E non si tratta di una fissazione.

"L'ITALIA DI MATTEO RENZI": L'INCHIESTA SUL ROTTAMATORE

Sulla tempistica si gioca molto della partita in corso: Renzi va di corsa, vuol diventare presto segretario; parte del Pd, nei giorni passati, temporeggiando e non esprimendosi sul tema, ha dato l’impressione di voler dare più ossigeno possibile ad Enrico Letta. La paura, infatti, è che Renzi, una volta preso il partito, si metta di traverso e dia la spallata decisiva al premier. Da qui, dalla logica dei due galli nel pollaio, alle asprezze a mezzo stampa, il passo è stato brevissimo. Per questo Epifani si è affrettato a “tagliare la testa al toro”. Un toro, o la sua testa, giudicato scarso dai renziani. Gentiloni, ieri, era stato chiarissimo: “Serve una data, non ci serve che si dicano entro l’anno”.

Ma questo è niente, scaramucce, rispetto a quello che è successo di lì a poco. Accantonata la tempistica si è passati alle regole: il metodo e il merito delle primarie per la segreteria Pd. Il cuore del problema. L’idea di Renzi è nota: “Primarie aperte”, altrimenti addio candidatura. Così, dentro questa logica, sono arrivati i virgolettato della discordia. Quello di Epifani, prima, che ha ipotizzato una platea ristretta per l’elezione del leader del partito, parlando di primarie aperte solo per la scelta del candidato premier. Quello di Dario Franceschini: “L’assemblea deciderà le regole ma la mia idea è che il candidato premier vada scelto con primarie aperte e senza albo mentre credo giusto che il segretario venga eletto dagli iscritti nel modo più coinvolgente possibile”.

Da qui in poi è cominciata un’altra storia, quella delle voci contro. “Epifani propone regole da matti: segretario nazionale eletto solo dagli iscritti, congressi fino al regionale fatti senza le candidature nazionali”. Scrive subito su twitter Stefano Esposito. E’ solo l’inizio. “Una direzione eletta 4 anni fa sta discutendo come cambiare faccia e natura del Pd”, afferma Gentiloni. “La proposta sulle regole avanzata da Epifani non va bene. In un momento difficilissimo per il Pd non possiamo chiuderci nelle nostre paure”, gli fa eco Matteo Orfini. Una linea, quella dei ‘giovani turchi’, chiarissima: “Se non le correggono – fanno sapere minacciosi – noi votiamo contro”. Il sindaco di Torino, Piero Fassino, invece, si lancia in difesa di Franceschini: “Condivido la proposta. Le primarie per il premier siano le più aperte possibili, per il segretario ci sia un altro grado di legittimazione. Ma garantendo che la platea di iscritti sia sufficientemente ampia e rappresentativa di tutti i territori”.

LA PARTITA PIU' DIFFICILE PER RENZI: CONQUISTARE LE REGIONI DEL SUD

CIVATI/CUPERLO – Dissapori contro che vanno ben oltre il recinto dei renziani. Parte in quarta Pippo Civati, già candidato alla segreteria: “Per quanto mi riguarda penso che il segretario lo debbano scegliere gli elettori, anche se poi si candidasse a premier qualcun altro. Per un miliardo di motivi, a cominciare dal fatto che il Pd dovrebbe aprirsi e realizzarsi, non chiudersi e stravolgersi. Quindi, la penso proprio al contrario di Franceschini, solo lontano parente di quel Franceschini che nel 2009 parlava di partito aperto contro il chiuso Bersani”. E ancora: “Si chiude il congresso, si chiude il dibattito. Si chiude. E tutto perché non è popolare questo governo, è pieno di fighetti in giro, non c’è motivo di cambiare le cose, che vanno bene così”.

Parole di pietra seguite a ruota da quelle di Gianni Cuperlo, l’uomo forte di Massimo D’Alema per la guida del partito: “No alla presentazione delle candidature nazionali dopo i congressi regionali”, sì ad un congresso che “sia aperto, inclusivo”. Renzi approva, fa cenno di sì con il capo, e applaude. “Noi abbiamo bisogno – ha continuato Cuperlo – di eleggere il segretario, se si cambiano le regole dobbiamo farlo insieme...se non c’è accordo su ruolo segretario-premier decida il congresso”.

Attaccano i nuovi, precisa e si difende la vecchia guardia. Così Bersani, l’ex segretario, prova a fare il punto e la linea del ‘sindacato’: “Il concetto è semplice: tutte le primarie sono aperte, ciascuno secondo la propria logica. Le primarie per il premier saranno aperte a chi si dichiara elettore del centrosinistra, le primarie per il segretario devono essere aperte a chi aderisce al Pd”. Un po’ come fu per le primaria che lo videro trionfare su Renzi. Dello stesso avviso l’ex ministro Cesare Damiano: “Personalmente penso sia sensato separare il premier dal segretario e che un segretario di partito debba essere eletto dagli iscritti al partito”.

I RENZIANI SONO SUL PIEDE DI GUERRA: ECCO PERCHE'

LETTA – Passano pochi minuti ed Enrico Letta raggiunge la direzione: “Se siamo uniti non ci batte nessuno. Noi siamo un partito, non il gruppo misto”. Un esordio che sa tanto di tirata di orecchie all’amico Renzi. “Ci vogliono – ha continuato – doveri da parte di tutti. Dobbiamo decidere insieme e poi percorrere quella strada”. Uniti e con “un segretario che faccia il segretario e che lavori a preparare un partito che, quando ci saranno le nuove condizioni, sia pronto a vincere”. Letta, in sostanza, non vorrebbe Renzi segretario. Fa il premier e ha bisogno di un partito che, almeno al vertice, appoggi le larghe intese e l’azione di governo. Con il sindaco di Firenze sa che la faccenda potrebbe complicarsi.   

In sostanza, in un pomeriggio, si è svolta la più nitida messa in scena di uno scontro generazionale interno al Pd. Da una parte la vecchia ‘nomenclatura’, dall’altra i figli e i figliocci della ‘rottamazione’ o della sua fenomenologia. Il tutto senza trovare una quadra condivisa, con uno spezzatino di posizioni distanti anni luce, senza la possibilità di un punto di contatto. Anzi, visto il caos sovrano e l’impossibilità di un accordo, ne trovano uno: non votare le regole per l’elezione del segretario.

PS – Data incerta, regole contro. Renzi furioso? Può darsi, ma anche no. Il fatto è che il Pd è sempre più orientato a fare del segretario una figura altra rispetto al candidato premier. E state a vedere che, alla fine, la norma non faccia al caso del sindaco. Che in questo modo potrebbe disimpegnarsi comodamente dalla sfida, logorante, per la segreteria. Pronto, quando ce ne sarà l’occasione, per la vera partita, la ‘sua’, quella di palazzo Chigi. C’è un però: Renzi ha fretta e sa che per accorciare la strada al governo Letta non c’è miglior ‘poltrona’ che quella del segretario. A questo tuttavia potrebbe pensare il miglior nemico del sindaco, Massimo D’Alema, che ha in testa un progetto: Cuperlo alla segreteria, Renzi al governo. A Renzi la scelta: fidarsi o non fidarsi, questo è il problema.

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