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Giovedì, 28 Marzo 2024
ELEZIONI

"Matteo Renzi premier": folle idea per il governo

La proposta arriva da Berlusconi e trova consensi nelle anime "centriste" del Pd e tra i montiani. Ma il sindaco di Firenze frena. O meglio, tace.

A Roma si parla, a Firenze si tace. Ma in questo caso non vale il detto del ‘chi tace acconsente’. Chi tace sta zitto, e basta. E non sarà della partita. Matteo Renzi tira dritto per la sua strada e aspetta che il tempo si rassereni. È chiaro che presto o prestissimo arriverà il momento delle scelte, quelle importanti, ma per dirla con un gioco di parole care al sindaco, questo tempo non è adesso.

La proposta ‘indecente’ sarebbe arrivata in Largo Nazzareno dagli uomini di Berlusconi: Renzi a capo di un governo di larghe intese, appoggiato da Pd, Pdl e Monti. Con il ‘rottamatore’ a fare da garante al rinnovamento, l’unica vera missione di un ipotetico governo di scopo. Uno scenario che si completerebbe con la presidenza di Senato e Camera affidate rispettivamente al Cavaliere e a Pierluigi Bersani. Un esecutivo strutturato su un’agenda leggera – abbattere i costi della politica, riforma del Senato federale, nuova legge elettorale, passando per il nuovo inquilino del Colle – e con una scadenza certa: un annetto, poi, nella primavera 2014, di nuovo al voto.

‘Matteo’, è risaputo, resta il chiodo fisso di Berlusconi. Il fatto è che improvvisamente il suo nome è sulla bocca di tutti. Nei social network l’analisi è chiara: serve la ricetta Renzi, e via con il coro dei se e i ma dei renziani della prima e dell’ultimissima ora. Lo chiama Baricco, gli fa eco Paolo Gentiloni “Con Renzi la storia sarebbe stata diversa: più forti con Grillo, più attraenti verso i delusi Pdl”. L’ipotesi insomma fa gola a molti. Ed è facile capire il perché: il sindaco è l’unica figura sganciata da un passato contestato che in un sol colpo potrebbe traghettare il Paese fuori dalla paralisi istituzionale. Perché gode di ampio consenso elettorale e soprattutto bipartisan, e perché potrebbe dar vita a quelle riforme che pian piano hanno sgretolato le dinamiche di voto tradizionali in favore di Beppe Grillo. Insomma è visto come l’unico argine alla piena dei grillini.

Tutto chiaro se non fosse che al film manca il protagonista principale. La teoria in sostanza è povera di pratica, quelle che non è disposto a concedere Renzi. Negli ambienti renziani infatti la progetto è stato azzerato sul nascere: “La strada non sta né in cielo né in terra, sono chiacchere romane”, tagliano corto. Due i motivi del gran rifiuto. Il primo riguarda la sfera antropologica del fenomeno Renzi. I piaceri della piazza che si è preso e guadagnato in questi ultimi due anni poggiano su un elemento indissolubile dalla sua azione politica: troncare con il passato, a costo di far la guerra generazionale. In questo non è disposto a dar ossigeno alle liturgie di una politica ‘nemica’. “Non diventerò mai come loro”, aveva tuonato nel tour elettorale i giorni delle primarie. Per questo non ha partecipato al ‘caminetto’ di partito: “Che cosa dovrei dire che non ho già detto?” riportava ieri un retroscena sulla Stampa. “Non faccio polemiche, come dal ballottaggio in poi. Ma non mi si chieda di condividere e, soprattutto, di venire a Roma per fare riunioni di caminetto, come lo chiamano, insieme a Rosy Bindi, non è cosa che faccia per me”. Ne era fuori prima, ci rimarrà ora.

Secondo, non vuol dare né pugnalate né spallate a Pierluigi Bersani: “Se pensano che ora mi metta ad attaccare Bersani – ha riportato sempre la Stampa – non hanno capito niente: io non faccio lo sciacallo”. Una posizione che tiene se considerati i precedenti. “Non me ne vado via con il pallone”, dichiarò a Roma appena finito il pranzo della pace con il segretario. Sposata questa linea non si torna indietro. Almeno non nell’immediato, almeno finché nel Paese non saranno apparecchiate nuove elezioni, quelle che si vuol prendere. Con l’appoggio a Bersani di ieri e il silenzio di oggi infatti si è guadagnato il giro, quello vero, quello che lo può lanciare alla guida del Paese e non di un governicchio.

I nodi che lo legano al silenzio tuttavia verranno sciolti presto. C’è una scadenza che rischia di far accelerare gli eventi, le elezioni per il Comune di Firenze fissate nel giugno 2014. Renzi ha sempre ribadito la sua ferma intenzione alla ricandidatura. Prima, quando aveva perso il ballottaggio e pensava che Bersani avesse la strada spianata. Poi ci si è messo di mezzo Grillo, Berlusconi e la sconfitta del Pd. Renzi o non Renzi il limite più gettonato per la XVII legislatura coinciderebbe con quella dell’amministrazione fiorentina. E così i piani si potrebbero sovrapporre e la tempistica infittire. Se è tutto vero il sindaco prima o poi sarà costretto ad uscire da questa fase taciturna. E che nessuno parli di corsa alla segretaria dei democratici. Sono gli stessi ambienti renziani che smentiscono lo scenario. Certo, il sindaco proverà a metterci uno dei suoi. Ma non si sta cucendo addosso il vestito da segretario. Non è nelle sue corse, non rientra nei suoi progetti. C’è una frase che racchiude bene il Renzi pensiero. La pronunciò durante l’ultima Leopolda: “Tutti sanno chi è il presidente degli Stati Uniti, nessuno sa chi sia il segretario dei democratici americani”. Renzi vuol fare l’Obama, non il Bersani.

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