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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Politica Italia

Dall'impeachment a Cottarelli, FAQ della crisi

In questo breviario raccogliamo le parole chiavi per comprendere la crisi politica e istituzionale che si è poi tramutata anche in una crisi della fiducia e a cascata una crisi del debito sovrano italiano con l'aumento dello spread ai livelli preoccupanti

Che significa impeachment?

Quella che molti chiamano "richiesta di impeachment" - anche se nell'ordinamento italiano non esiste tale termine - è la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica: essa è ammissibile solo in casi tassativamente previsti. Inoltre occorre che venga prima votata da parte del Parlamento che deve poi lasciare la decisione finale alla Corte Costituzionale.

Cosa dice l'articolo 90 della Costituzione

Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.

Il Presidente dunque può essere messo in stato di accusa solo in caso di alto tradimento (se viola il giuramento di fedeltà alla Repubblica) o di attentato alla Costituzione (cioè una condotta volta a sovvertire le istituzioni costituzionali oppure a violare la Carta costituzionale).

Impeachment, come funziona la messa in stato d'accusa

La Costituzione disciplina come la procedura di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica nei fatti, è prevista solo per i reati di 'alto tradimento' (ad esempio la diffusione di segreti di Stato o, in tempi di guerra, l'accordo con Stati esteri nemici) oppure, ed è il caso del documento presentato dai Movimento 5 stelle, per 'attentato alla Costituzione' (quando, cioè, si verifichi una violazione delle norme costituzionali tale da stravolgere i caratteri essenziali dell'ordinamento al fine di sovvertirlo con metodi non consentiti dalla Costituzione stessa).

L'ammissibilità di questa messa in stato d'accusa è una prerogativa esclusiva del Parlamento che riunisce d'urgenza un comitato di deputati e senatori scelti tra i componenti delle rispettive giunte di Camera e Senato competenti per le autorizzazioni a procedere. Se le accuse non vengono archiviate vengono sottoposte al Parlamento in seduta comune.

Per dare corso all'iter serve la maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento ovvero 477 voti.

In caso di voto favorevole la Costituzione (agli articoli 134 e 135) prevede che sia un organo terzo e indipendente ad avere la responsabilità della decisione finale: la Corte Costituzionale, con una composizione differente rispetto alla generalità dei casi. Ai 15 componenti cosiddetti 'togati', che formano la Corte propriamente eletta, si aggiungono altri 16 membri estratti a sorte dallo speciale 'elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a Senatore', che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici costituzionali ordinari (in seduta comune e a maggioranza dei 2/3 dei componenti). Ai 31 'giudici' si aggregano i cosiddetti 'Commissari d’accusa' (uno o più di uno) eletti dal Parlamento, tra i propri membri, per sostenere le accuse a carico del Presidente della Repubblica.

Il processo vero e proprio, si svolge come un classico procedimento penale (con udienze, testimonianze, interrogatori, dibattimento) al termine del quale la Consulta emette una sentenza con cui dichiara la destituzione del Presidente oppure lo assolve dai capi d'accusa.

Nella storia repubblicana nessun Presidente è mai stato formalmente messo in stato d'accusa ma nel 1978, quando Giovanni Leone si dimise dopo l'annuncio del Pci di voler avviare la procedura d'impeachment per lo scandalo Lockheed, e nel 1992, quando il Pds dichiarò di voler chiedere lo stato d’accusa per Francesco Cossiga (per aver snaturato il ruolo di Presidente), il quale però si dimise poche settimane prima della scadenza del mandato.

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