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Sabato, 20 Aprile 2024
Legge elettorale

Legge elettorale "Italicum": cos'è, come funziona e a chi conviene

Paese che vai legge elettorale che trovi. Renzi, con l'ok di Berlusconi, ha partorito un modello che di fatto favorisce i grandi partiti relegando in un angolo chi è "minoritario"

C’è il proporzionale spagnolo, quello tedesco, il maggioritario inglese, il semipresidenzialismo francese, il modello americano. Non si scappa, ogni paese, una formula algebrico-matematica che poi da la forma al comparto istituzionale. Meno che in Italia che l’ha provate tutte, con gli ibridi d’autore che spesso hanno mischiato gli addendi ed altrettanto spesso hanno generato pappe e pasticci. I danni del Porcellum sono sotto gli occhi di tutti. Prima ancora, sono andate di moda le liste civetta e la prolificazione dei partiti, a decine, come le figliate dei conigli. E la faccenda è indicativa e pone sul tavolo due domande: o si è sempre trattato di incapacità tecnico-elettorale, oppure la politica, o meglio i partiti hanno sempre fatto in modo di trovare sistemi buoni per garantirsi la sopravvivenza. Sì perché solo il consolidamento dei sistemi polarizza e razionalizza il campo. Storicizza le esperienze e cementifica la proposta virtuosa, di merito.

Così, dopo il patto tra Renzi e Berlusconi, siamo arrivati all’Italicum. E sul nome si poteva far meglio, quell’assonanza con quel treno maledetto non è un granché. Sul merito del marchingegno, invece, le aspettative sono quelle continentali: far della legge un modello, una sorta di assioma.

ITALICUM – Si tratta di un sistema proporzionale su micro circoscrizioni; liste corte e bloccate, senza preferenze; soglia di sbarramento per l’accesso delle forze politiche in Parlamento (il 5% per i partiti coalizzati, l’8 per chi sceglierà la via solitaria, il 12% per le coalizioni); premio di maggioranza che scatta sopra il 35% e che assegnerà dal 53 al 55% del totale dei seggi; ballottaggio tra le due forze politiche più votate, singole o coalizzate, nel caso che nessuno al primo turno raggiunga la cifra stabilita per accedere al premio di maggioranza.

Come cambierebbe la geografia parlamentare se si votasse oggi l’ha scritto il Corriere.it attraverso una simulazione di Ipsos basata su un sondaggio effettuato lunedì 20 gennaio e presentato ieri sera a Ballarò .

Due gli scenari possibili: Nuovo centrodestra alleato con Forza Italia, oppure Nuovo centrodestra alleato con le liste di centro. Nel primo caso il centrosinistra raggiungerebbe il 35,9% e otterrebbe 340 seggi attribuiti solo al Pd; il centrodestra, più Ncd, sarebbe secondo con il 35,4%, aggiudicandosi 183 seggi, 143 attribuiti a FI e 40 al Ncd; mentre il centro rimarrebbe sotto lo sbarramento previsto all’8% per i partiti non coalizzati (al 5,6%). Cosa che dimostra bene quanto la nuova legge, così com’è, spinga le formazioni minori a coalizzarsi. Il M5S raggiungerebbe il 20,8% incassando 107 seggi. Nell’altro scenario: il centrosinistra avrebbe lo stesso risultato, il centrodestra il 29% con 136 seggi attribuiti solo a FI, mentre il centro più Ncd sfiorerebbe la soglia di sbarramento prevista per le coalizioni con il 12%, ottenendo 56 seggi, ma tutti attribuiti al solo Ncd.

Da qui le singole posizioni, in modo schematico.

PD – Matteo Renzi è il padre e il promotore della riforma “storica”. La legge elettorale e il pacchetto riforme (riforma titolo V della Costituzione, monocameralismo): sta tutto insieme e il segretario del Pd ha intenzione di prendersi tutto. Davanti a se’ due strade: andare da solo, seguendo la vocazione maggioritaria alla Veltroni, oppure dare alla luce una nuova coalizione di centro sinistra (con Sel che, a giochi fatti, si ritroverebbe a percorrere un sentiero stretto-stretto). La seconda è più sicura, numericamente parlando, la prima è più suggestiva e libera. Prendersi da solo l’intero, polarizzando la scelta. Semmai rischiando al primo turno, per poi “asfaltare” la concorrenza nel testa a testa del ballottaggio. Da catalizzatore di consenso e voti, la faccenda si farebbe ardua per chiunque si ritroverebbe a sfidarlo. Favorito.

FI – Silvio Berlusconi è l’altro padre della riforma. E con questo ha reso noto a tutti, Alfano e Letta compresi, chi sia il capo del centro-destra. In un colpo solo ha ottenuto nuova legittimazione e ha allungato nuovamente le mani sulla sopravvivenza dell’attuale esecutivo. E punterà, in caso di chiamata alle urne, a vincere al primo turno. Un primo colpo secco per via dell’elettorato pigro alla doppia chiamata (una costante che si ripete nelle bastonate che il centro-destra rimedia matematicamente tra comunali e regionali). Per forza di cose rivestito da una coalizione in stile Casa della Libertà: con Alfano, la Lega e magari Casini. Il perché sta in un ragionamento storico e culturale. Nel ventennio berlusconiano il centro destra ha gravitato sempre e solo su Berlusconi. Un partito persona, non territoriale ma televisivo. La faccia, non la geografia. L’etere. Non gli resta che trovare un frontman, semmai giovane, il resto lo farà lui, le battutine, le comparsate in Tv. Da casa, ai servizi sociali (con tutta la retorica del caso) o da uomo libero. Non è il favorito ma se la giocherà fino in fondo. Outsider.

NCD – La posizione di Alfano è strana, anche se appare segnata. Se andrà da solo rischia di finire come chi lo ha preceduto nella via degli strappi: Gianfranco Fini. Quindi, davanti al Nuovo centro destra la via delle intese appare inevitabile. Da qui due strade, come per Renzi, e due ipotesi: creare un nuovo polo moderato, con i Popolari, con Monti magari rosicchiando consenso a Silvio e all’area centrista della sinistra. Un piano tuttavia fragilissimo, incerto, numericamente davvero povero (soprattutto per i potenziali alleati). Oppure tornare alla casa del ‘padre’, un po’ con la coda tra le gambe, un po’ con la forza del doppio turno, o del primo (come spera il Cav). “Senza cappello in mano”. Rimandato.

M5S – In questo schema i problemi più grossi li ha Grillo. In queste ore, il Movimento veleggia in alto mare. Lo danno al 20,8% e non è poco, anzi sono milioni di voti. Che tuttavia oggi non basterebbero ad oltrepassare il muro del primo turno (stessa sorte se il Movimento si confermasse sulle percentuali delle politiche del febbraio 2013). Oltre questa considerazione, attualmente non si va, visto che la vita in solitaria non è messa in discussione. Ed anche come nel caso di Renzi e Alfano, Grillo è ad un bivio, però molto più scomodo. O il Paradiso, o l’Inferno. O ‘Beppe’ sarà bravo e capace a prendersi il ballottaggio, che vorrebbe dire un balzo in avanti che lo catapulterebbe oltre il 30% dei voti, oppure sarà stritolato dalla polarizzazione dell’Italicum. E dal tempo dello stare in minoranza. Fantasista.

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