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Giovedì, 25 Aprile 2024
VERSO LE ELEZIONI

Monti rinuncia alla candidatura?

Dopo aver rassegnato le dimissioni, il Professore deve decidere il suo futuro politico. Secondo voci insistenti, la tentazione è di non candidarsi: pesa il timore di insuccesso delle liste centriste che lo appoggiano

ROMA - E ora cosa farà il Professore? Le ipotesi sono tre: scendere in campo in prima persona (a capo di una lista che porti avanti la sua "agenda" politica), dare la benedizione a una formazione centrista senza "metterci" direttamente la faccia, oppure non candidarsi affatto. Se finora Monti si è potuto trincerare dietro la necessità di portare a termine il compito tecnico affidatogli dal Quirinale, da domani dovrà sciogliere il rebus una volta per tutte.

IL PROF TENTENNA - Nel frattempo, il Professore prende tempo. E questo alimenta le voci insistenti di un possibile passo indietro. Il dubbio di un ripensamento di Monti si è ormai insinuato negli animi dell'area moderata dei centristi e dei ministri tecnici più "fedeli", proprio nel giorno in cui il premier è salito al Colle per rimettere il mandato nelle mani di Giorgio Napolitano. Ma da palazzo Chigi la linea non cambia: "Nessun ripensamento, perché non aveva mai preso alcuna decisione". Così come "non l'ha ancora presa ora". Quello che è deciso è invece una strategia che si dipanerà lungo le prossime settimane, tenendo ancora 'appeso' attorno al suo ruolo il dibattito politico futuro e aspettando che la sua discesa in campo sia sempre più invocata.

ATTESA PER LA CONFERENZA DI DOMANI - E allora si torna alla road map disegnata nei giorni scorsi: domenica mattina la conferenza stampa di fine anno, appuntamento istituzionale di un Presidente del Consiglio anche se ormai in carica solo per gli affari correnti, in cui Monti traccerà il bilancio dei 13 mesi "difficili ma affascinanti" trascorsi al governo, e in cui spiegherà cosa avrebbe fatto con più tempo a disposizione e con un Parlamento dove si fossero incrociati meno veti. Ovvero l'agenda Monti, il programma di un futuro governo da consegnare alle forze politiche in campo, perché come ribadito ieri, "l'azione riformatrice deve continuare". Poi si aspetteranno le reazioni dell'arco politico: l'appoggio pieno e incondizionato - e scontato - dei centristi; quello dei pidiellini 'montiani'; e soprattutto l'atteggiamento del Pd. Ma anche quello che i suoi collaboratori definiscono "un dibattito nel Paese" sui temi che verranno posti nell'agenda Monti, "tra le organizzazioni della società civile ma anche tra la gente".

LA STRATEGIA DI MONTI - Il probabile dietrofront non ha nulla a che vedere con i sondaggi, giurano dal suo staff. Anche se è forte il timore di un insuccesso delle liste centriste che lo appoggiano. Ma più che di indecisione, sembra trattarsi di una strategia raffinata. Prima di tutto, confermano i suoi collaboratori, "lui è fatto così, vuole essere 'chiamato'". Ma ancora di più, vuole essere lui a dettare le condizioni, "dire cosa è necessario fare". E sotto quel manifesto programmatico, raccogliere le disponibilità. Ecco perché l'agenda, con ogni probabilità, sarà indigeribile per Berlusconi e fonte di molti imbarazzi nel Pd. Perché sembra essere proprio il Partito Democratico lo snodo attorno al quale Monti prenderà la sua decisione, annunciandola comunque in una sede diversa e più lontana nel tempo della conferenza stampa di domenica. Addirittura, è quanto si fa immaginare, a ridosso del termine per la presentazione delle liste.

VERIFICARE GLI EFFETTI DELL'AGENDA MONTI - L'ipotesi di una lista Monti non è affatto tramontata, è ancora in piedi "come tutte le altre". Ma appunto, il Professore scioglierà la riserva più in là nel tempo, a questo punto - forse - addirittura nel 2013, e da posizioni di forza ancora più nette. Prima vorrà verificare gli effetti della sua agenda, in particolare - confermano anche dal suo staff - all'interno del Pd e nel rapporto tra i democratici di Pierluigi Bersani e Sel di Nichi Vendola. Con un'altra freccia nel suo arco: nell'area centrista e di governo, da tempo si racconta della missione negli Usa di Enrico Letta per provare a rassicurare gli investitori internazionali che dovranno continuare a comprare il debito italiano anche dopo le elezioni. E si racconta che "non è andata affatto bene". E che dunque l'unica garanzia per i mercati sarebbe un assetto politico italiano che veda Monti ancora protagonista. Per non dover fare di nuovo i conti con lo spread che si impenna e, di conseguenza, con una politica di "lacrime e sangue".

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