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Venerdì, 19 Aprile 2024
Politica

Caos legge elettorale: Pd spaccato, Pdl "nervoso"

In una mozione, già bocciata, firmata da cento parlamentari, Roberto Giachetti chiede il ritorno al "Mattarellum": un'iniziativa non concordata con il resto del partito che, naturalmente, ha reagito in maniera dura

“Se il Porcellum è una porcata, il Porcellum modificato potrebbe diventare un maialinum”. Il via alle danze, e alle polemiche interne al Pd, lo ha dato qualche giorno fa Matteo Renzi. Un classico. La questione, tuttavia, è di quelle centrali: la riforma della legge elettorale. La vituperata legge Calderoli, che ha messo più di uno zampino sullo stallo istituzionale del dopo elezioni e che ha partorito le larghe intese. Odiata da tutti. Buona per tutti: se è vero, come è vero, che dal 2008 al 2013 nessuno in Parlamento è stato in grado di metterci mano. Nonostante le criticità, e l’anno sabbatico a guida Mario Monti, quando c’erano i numeri per rettificare quella che Calderoli, che pose la firma sul testo, definì una legge “porcata”.

Poi l’impasse, una non maggioranza, le giornate nere dell’elezione del nuovo capo dello Stato. Fino al ritorno di Napolitano, che tra i temi posti sul piatto, cala un imperativo: il Parlamento si deve far carico di una legge elettorale. Cosa che comunica a Letta, fresco premier, che a sua volta inserisce come atto imprescindibile del suo mandato. Tutti contenti e tanti applausi. Fino al sopraggiungere dei nodi, quelli spinosi; che tradotti stanno in una domanda banale quanto decisiva: riformare il meccanismo, ma come? Si perché sull’ingranaggio che disciplina la via delle urne, poggiano le logiche che separano la maggioranza dall’opposizione, tra chi vince e chi perde. Regole, certo, sulla carta disinteressate e terze. Sulla pratica, interessatissime.

Per questo attorno alla questione si è scatenata la bagarre. Con il governo che, nell’attesa che il cielo si schiarisca, ha deciso di rimandare la faccenda; e chi, come la cerchia di Renzi, accusano la maggioranza di voler trasformare lo straordinario, il governissimo, nello status quo. Per questo è partita la controffensiva di un renziano di ferro, l’onorevole Roberto Giachetti, che ha proposto il ritorno al Mattarellum, subito bocciato dalla Camera (400 no e 139 sì).

GIACHETTI – L’ex radicale, poi Margherita, ora Pd, già noto per uno sciopero della fame proprio sul tema, si è fatto da una parte e tra i banchi parlamentari ha collezionato un centinaio di firme su una mozione che punta a rimettere in sella il vecchio sistema elettorale. Una mozione da molti ritenuta scomoda ma che Giachetti non ha ritirato. “Non è una mozione di partito, di gruppo ne' tantomeno di corrente”, ha sottolineato in giornata. “L’ho mandata a 630 deputati, l’hanno firmata in 100, qualcuno ha ritirato la firma, qualcuno la mette e Antonio Martino (del Pdl) la illustrerà. Più prepotente sarebbe ritirarla ora”. Così Giachetti all’assemblea del gruppo Pd alla Camera – infuocata – ha spiegato il non ritiro della mozione. Questioni bipartisan insomma.

IL NO DEL PD – Questioni che hanno fatto surriscaldare il Pd. Tanto che il vertice ad hoc è finito con un no alla proposta, arrivato prima di quello alla Camera, segnato però da una spaccatura interna. Il gruppo, infatti, ha votato parere contrario alla mozione. Contro questa decisione tuttavia si sono espressi 34 deputati: i renziani e prodiani. E non sono mancati gli astenuti: cinque, tutti veltroniani. Tutto come da copione, tutto come preannunciato da Roberto Speranza, il capogruppo a Montecitorio del Pd, che poche istanti prima del voto interno era stato più che esplicito: la mozione Giachetti “introduce prematuramente un punto pur legittimo, di merito, che può essere un punto possibile di arrivo ma non posto ora in modo divisivo per lo stesso gruppo Pd e senza nessuna discussione”.

FINOCCHIARO – Se Speranza ha tentato la via delle fermezza diplomatica, molto più duro è stato il commento di Anna Finocchiaro: “La mozione Giachetti trovo che sia stata presentata in maniera intempestiva. Deve essere chiara una cosa: non possiamo non trovare una soluzione che ci trovi tutti d'accordo e non possiamo mettere a rischio il percorso delle riforme con atti di prepotenza”. Destro al volto della senatrice, sinistro ai fianchi dell’onorevole Giachetti: “Fino a quattro giorni fa Finocchiaro era una sostenitrice del Mattarellum e ha pure presentato un ddl. Io sono intempestivo? Aspettando la tempestività da 10 anni andiamo a votare con il Porcellum”.
Giachetti prima, Andrea Marcucci, senatore, sempre in area renziana, poi: “Non giudicherei mai prepotente una iniziativa politica assunta da 100 deputati, molti dei quali peraltro dello stesso partito”.

SCONTRO – Ci sono i prodiani, i renziani, il silenzio dei veltroniani. Di contro il resto del partito. E c’è l’appoggio di Sel: “Il ritorno al Mattarellum – sottolinea Gennaro Migliore, capogruppo di Sel alla Camera – è il risarcimento per l’elettorato che è stato strapazzato e umiliato da una legge che non meritava per tre volte. Ed è mortificante per il Parlamento non cambiare dopo i rilievi svolti sulla legge dalla Corte di Cassazione e il percorso avviato sulle riforme”. Giachetti ha incassato e ha tirato diritto: “Non sono io che metto a rischio la tenuta del governo. Sono loro che se la vanno a cercare”.

PDL – Il Pd litiga, il Pdl sale sugli scudi e avverte: “La mozione Giachetti – afferma Renato Brunetta, capogruppo del Pdl a Montecitorio – è un grosso problema per il governo perché è chiaro che è contro il governo e contro Enrico Letta. Ho fiducia che ritirino il testo, perché così non si può andare avanti”. Chiaro monito ai ‘colleghi’ di governo, con tanto di battuta al veleno: “Il Pd si decida, o è di Letta o è di lotta”.

IL NO DI LETTA – I renziani attaccano, il Pd si spacca. Con Berlusconi, o chi per lui, minaccia la tenuta dell’intesa. Fino a che Letta rassicura la piazza e il Cavaliere: “Inviterò al ritiro e in caso contrario darò parere contrario a quelle mozioni che entrano troppo nel merito” del percorso istituzionale. Cosa rimane di questa vicenda. Al netto delle buone intenzioni, sono tre gli elementi politici che emergono:
1) Il Pdl si inserirà dentro ogni polemiche in casa Pd, ricattandolo sulla tenuta del governo, e quindi dimezzandone il dibattito interno. Un sorta di amputazione costante.
2) Renzi non farà il bravo.
3) Letta sarà costantemente ad un bivio: tra le ragion di stato e la paura che il Pd si frantumi.

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